Come a Stalingrado, come a Leningrado, quando grazie al sacrificio di centinaia di migliaia di vite sovietiche le orde naziste furono fermate e gli Alleati poterono avanzare verso la vittoria finale. Come nel ghetto ebraico di Varsavia insorto contro i massacratori nazisti.
A Kobanè si giocano i destini della civiltà, non già di quella “occidentale” ma della civiltà tout-court. Le orde di tagliagole dell’ISIS, finanziati, armati e sostenuti dalle monarchie reazionarie sunnite della penisola arabica agiscono animate da odio per chiunque non professi le loro demenziali dottrine. Vogliono spazzare via l’esperimento della Rojava, la democrazia autogestita su base territoriale dalle varie componenti etniche della regione: kurdi, arabi, turcomanni, iazidi, assiri, ecc. per instaurare un odioso regime fondamentalista basato sulla più retriva interpretazione possibile dei principi dell’Islam. Già autorità religiose e comunità islamiche di varie parti del mondo hanno preso fermamente posizione: costoro non sono autorizzati a parlare in nome dell’Islam e solo qualche dozzinale editorialista può parlare di “guerre di religione” o di “scontro di civiltà”, magari mettendo nello stesso calderone Hamas, Isis, Hezbollah e quant’altro.
La civiltà a Kobané sta da una parte sola. Decisivo il ruolo delle donne, che non si rassegnano al ruolo di puri oggetti sessuali che i fondamentalisti vorrebbero loro assegnare in conformità alla loro putrida ideologia maschilista. Ma i kurdi e le kurde sono drammaticamente soli. Nessuna delle potenze che a parole dicono di volersi mobilitare contro l’Isis sta muovendo un dito per impedire l’eccidio che si delinea se l’eroica resistenza dei guerriglieri kurdi del PYD dovesse alla fine essere vinta dagli sgherri dell’Isis ben armati grazie al sostegno delle petromonarchie. Al contrario. La Turchia ha mobilitato ingenti forze militari per impedire che centinaia di guerriglieri del PKK possano dare manforte agli assediati. Allo stesso modo, l’esercito turco impedisce l’affluire di aiuti umanitari e si rende pertanto complice dei crimini dell’Isis e autrice in prima persona di ulteriori crimini. Gli attacchi aerei della coalizione, pur provocando come inevitabile vittime innocenti tra la popolazione delle zone occupate dall’Isis, non ha minimamente scalfito la capacità di questa organizzazione terroristica e criminale di infliggere inaudite sofferenze a tutta l’area.
Le responsabilità degli Stati menzionati (Turchia, Arabia Saudita, Emirati) sono da ultimo state evidenziate dallo stesso vicepresidente statunitense Biden, il quale, in un discorso tenuto ad Harvard, ha affermato che tali Stati hanno riversato sulle organizzazioni terroristiche centinaia di milioni di dollari e decine di migliaia di armamenti, nell’illusione che tale impegno avrebbe consentito di spazzare via il regime di Assad. Biden però si è scordato di aggiungere che grosse responsabilità incombono anche sugli Stati Uniti, i primi ad iniziare lo sciagurato giochino della guerra fra sunniti e sciiti ai tempi dell’invasione dell’Iraq.
Come ho più volte avuto modo di affermare l’Isis è il frutto di queste politiche, portate avanti in modo coerente e irresponsabile dall’Occidente e dai suoi alleati.
Intervenire a fianco dei kurdi inviando soccorsi umanitari e armamenti efficaci e impedendo il criminale blocco della frontiera Nord del Rojava da parte della Turchia è l’unica scelta che va in modo chiaro e diretto verso la distruzione dell’Isis. Ma proprio per questo la cosiddetta coalizione che con una mano fa finta di bombardare l’Isis mentre con l’altra continua a sostenerlo finanziariamente e militarmente, si guarderà bene dal farlo. Liquidare l’esperienza multietnica e democratica del Rojava è un obiettivo di interesse comune per tutte le potenze che vogliono mantenere nella regione una situazione di caos e guerra civile permanente per poter meglio fare i propri affari.
Ma Kobané resiste. Riprendendo le parole di una comandante kurda impegnata nell’autodifesa della città : “faccio appello alle potenze internazionali affinché agiscano subito, dicendo che alla fine le bande di Isis faranno del male a tutti. Sottolineo che chi si definisce un essere umano deve anche agire come tale, tutte le parti del nostro popolo, i giovani e gli anziani, sono qui e resistono. Isis vuole fare un massacro di civili a Kobanê e sta già prendendo di mira i civili con i suoi armamenti pesanti. Ma noi faremo tutto quanto in nostro potere per impedire al nemico di entrare e abbiamo fatto tutti i nostri preparativi … le linee di difesa che abbiamo preparato saranno l’inferno per Isis”.
Non lasciamo soli i kurdi e le kurde che stanno in questi giorni combattendo e morendo per difendere l’umanità dalle orde fondamentaliste. Il governo italiano, se non fosse come al solito succube della Nato, dovrebbe farsi promotore di un intervento internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite contro i terroristi e a difesa della popolazione civile, mettendo a disposizione i suoi migliori reparti operativi.
Fabio Marcelli
Giurista internazionale
Mondo - 6 Ottobre 2014
Guerra all’Isis: a Kobané i kurdi difendono la civiltà, non lasciamoli soli
Come a Stalingrado, come a Leningrado, quando grazie al sacrificio di centinaia di migliaia di vite sovietiche le orde naziste furono fermate e gli Alleati poterono avanzare verso la vittoria finale. Come nel ghetto ebraico di Varsavia insorto contro i massacratori nazisti.
A Kobanè si giocano i destini della civiltà, non già di quella “occidentale” ma della civiltà tout-court. Le orde di tagliagole dell’ISIS, finanziati, armati e sostenuti dalle monarchie reazionarie sunnite della penisola arabica agiscono animate da odio per chiunque non professi le loro demenziali dottrine. Vogliono spazzare via l’esperimento della Rojava, la democrazia autogestita su base territoriale dalle varie componenti etniche della regione: kurdi, arabi, turcomanni, iazidi, assiri, ecc. per instaurare un odioso regime fondamentalista basato sulla più retriva interpretazione possibile dei principi dell’Islam. Già autorità religiose e comunità islamiche di varie parti del mondo hanno preso fermamente posizione: costoro non sono autorizzati a parlare in nome dell’Islam e solo qualche dozzinale editorialista può parlare di “guerre di religione” o di “scontro di civiltà”, magari mettendo nello stesso calderone Hamas, Isis, Hezbollah e quant’altro.
La civiltà a Kobané sta da una parte sola. Decisivo il ruolo delle donne, che non si rassegnano al ruolo di puri oggetti sessuali che i fondamentalisti vorrebbero loro assegnare in conformità alla loro putrida ideologia maschilista. Ma i kurdi e le kurde sono drammaticamente soli. Nessuna delle potenze che a parole dicono di volersi mobilitare contro l’Isis sta muovendo un dito per impedire l’eccidio che si delinea se l’eroica resistenza dei guerriglieri kurdi del PYD dovesse alla fine essere vinta dagli sgherri dell’Isis ben armati grazie al sostegno delle petromonarchie. Al contrario. La Turchia ha mobilitato ingenti forze militari per impedire che centinaia di guerriglieri del PKK possano dare manforte agli assediati. Allo stesso modo, l’esercito turco impedisce l’affluire di aiuti umanitari e si rende pertanto complice dei crimini dell’Isis e autrice in prima persona di ulteriori crimini. Gli attacchi aerei della coalizione, pur provocando come inevitabile vittime innocenti tra la popolazione delle zone occupate dall’Isis, non ha minimamente scalfito la capacità di questa organizzazione terroristica e criminale di infliggere inaudite sofferenze a tutta l’area.
Le responsabilità degli Stati menzionati (Turchia, Arabia Saudita, Emirati) sono da ultimo state evidenziate dallo stesso vicepresidente statunitense Biden, il quale, in un discorso tenuto ad Harvard, ha affermato che tali Stati hanno riversato sulle organizzazioni terroristiche centinaia di milioni di dollari e decine di migliaia di armamenti, nell’illusione che tale impegno avrebbe consentito di spazzare via il regime di Assad. Biden però si è scordato di aggiungere che grosse responsabilità incombono anche sugli Stati Uniti, i primi ad iniziare lo sciagurato giochino della guerra fra sunniti e sciiti ai tempi dell’invasione dell’Iraq.
Come ho più volte avuto modo di affermare l’Isis è il frutto di queste politiche, portate avanti in modo coerente e irresponsabile dall’Occidente e dai suoi alleati.
Intervenire a fianco dei kurdi inviando soccorsi umanitari e armamenti efficaci e impedendo il criminale blocco della frontiera Nord del Rojava da parte della Turchia è l’unica scelta che va in modo chiaro e diretto verso la distruzione dell’Isis. Ma proprio per questo la cosiddetta coalizione che con una mano fa finta di bombardare l’Isis mentre con l’altra continua a sostenerlo finanziariamente e militarmente, si guarderà bene dal farlo. Liquidare l’esperienza multietnica e democratica del Rojava è un obiettivo di interesse comune per tutte le potenze che vogliono mantenere nella regione una situazione di caos e guerra civile permanente per poter meglio fare i propri affari.
Ma Kobané resiste. Riprendendo le parole di una comandante kurda impegnata nell’autodifesa della città : “faccio appello alle potenze internazionali affinché agiscano subito, dicendo che alla fine le bande di Isis faranno del male a tutti. Sottolineo che chi si definisce un essere umano deve anche agire come tale, tutte le parti del nostro popolo, i giovani e gli anziani, sono qui e resistono. Isis vuole fare un massacro di civili a Kobanê e sta già prendendo di mira i civili con i suoi armamenti pesanti. Ma noi faremo tutto quanto in nostro potere per impedire al nemico di entrare e abbiamo fatto tutti i nostri preparativi … le linee di difesa che abbiamo preparato saranno l’inferno per Isis”.
Non lasciamo soli i kurdi e le kurde che stanno in questi giorni combattendo e morendo per difendere l’umanità dalle orde fondamentaliste. Il governo italiano, se non fosse come al solito succube della Nato, dovrebbe farsi promotore di un intervento internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite contro i terroristi e a difesa della popolazione civile, mettendo a disposizione i suoi migliori reparti operativi.
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Roma, 18 feb. (Adnkronos) - Martedì 25 alle ore 15.30 si svolgeranno le commemorazioni dell'Ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci. Poi il primo punto all'ordine del giorno è la mozione di sfiducia a Daniela Santanchè.
(Adnkronos) - La sede opportuna, ha sottolineato Ciriani, "è il Copasir che è un organo del Parlamento e non del governo, ed è presieduto da un componente delle opposizioni. E' quella la sede in cui il governo fornisce tutte le informazioni del caso: oggi è stato audito Valensise, la settimana scorsa Caravelli e la prossima settimana sarà audito Frattasi. Da parte del governo non c'è alcun volontà di non dare informazioni, ma di darle nelle sedi opportune".
E anche sulla richiesta delle opposizioni di sapere se Paragon sia stato utilizzato dalla polizia penitenziaria, Ciriani ribadisce che saranno date "riposte nelle sedi opportune. C'e' un luogo in cui dare risposte e un altro luogo in cui non si possono dare, ma questo è la legge a disporlo, non è il governo". Infine viste le proteste dei gruppi più piccoli che non sono rappresentati nel Copasir, Ciriani ha ricordato che "è la legge che lo prevede, non dipende dal governo".
Roma, 18 feb. (Adnkronos) - Martedì 25 al mattino si terrà discussione generale sulla mozione di sfiducia al ministro Carlo Nordio. Lo ha stabilito la conferenza dei capigruppo della Camera.
Roma, 18 feb. (Adnkronos) - La conferenza dei capigruppo ha stabilito che domani dalle 18 votazione si svolgerà la chiama per la fiducia sul dl Milleproroghe. Le dichiarazioni di voto inizieranno alle 16 e 20. Il voto finale sul provvedimento è previsto per giovedì.
Roma, 18 feb. (Adnkronos) - Le opposizioni protestano con il governo e con il presidente della Camera Lorenzo Fontana sulla mancata interrogazione al question time sul caso Paragon. "Il governo si sottrae al confronto con il Parlamento. Siamo totalmente insoddisfatti sulle motivazioni apportate dal ministro Ciriani" che ha ribadito come il governo ritenga "non divulgabili" le informazioni sul caso, ha detto la presidente dei deputati Pd, Chiara Braga, al termine della capigruppo a Montecitorio. "E abbiamo chiesto anche al presidente Fontana di rivalutare la sua scelta".
"Il governo ha avuto l'atteggiamento di chi è stato preso con le mani nella marmellata: tutti hanno parlato, ma ora che abbiamo chiesto se lo spyware fosse utilizzato dalla polizia penitenziaria scatta il segreto...", osserva il capogruppo di Iv, Davide Faraone. Per Riccardo Magi di Più Europa si tratta "di un altro colpo alle prerogative del Parlamento. Si toglie forza a uno dei pochissimi strumenti che si hanno per ottenere risposte dal governo".
Roma, 18 (Adnkronos) - "Si tratta di informazioni non divulgabili" e come tali "possono essere divulgate solo nelle sedi opportune" come il Copasir. Lo ha detto il ministro Luca Ciriani al termine della capigruppo alla Camera a proposito delle interrogazioni al governo da parte delle opposizioni sul caso Paragon. "Da parte del governo non c'è alcun volontà di non dare informazioni, ma di darle nelle sedi opportune".
Milano, 18 feb. (Adnkronos) - "Sono molto sollevato per la decisione del giudice Iannelli che ha escluso la richiesta di arresti domiciliari a mio carico. Ciò mi permette di proseguire il mio lavoro di architetto e anche di portare a termine l’incarico di presidente di Triennale e di docente del Politecnico di Milano". Lo afferma Stefano Boeri dopo la decisione del gip di Milano che ha disposto un'interdittiva che gli vieta per un anno di far parte di commissioni giudicatrici per procedure di affidamento di contratti pubblici.
L'archistar è indagato insieme a Cino Paolo Zucchi e Pier Paolo Tamburelli per turbativa d'asta nell'inchiesta per la realizzazione della Beic, la Biblioteca Europea di Informazione e Cultura. "Ribadisco la mia piena fiducia nel lavoro della magistratura e non vedo l’ora di poter chiarire ulteriormente la mia posizione. Non nascondo però la mia inquietudine per tutto quello che ho subito in queste settimane e per i danni irreversibili generati alla mia vita privata e professionale" conclude Boeri in una nota.