Il Consiglio dei ministri ha autorizzato il ministro Maria Elena Boschi a porre la questione di fiducia sul Jobs Act. Lo si apprende da fonti di governo. In giornata molti esponenti della sinistra del Pd avevano criticato questa ipotesi. Tra questi Stefano Fassina: “Avrebbe conseguenze politiche” aveva dichiarato. E se qualcuno nei giorni scorsi aveva detto che il presidente Matteo Renzi era obbligato a scegliere tra una parte del suo partito e il Nuovo Centrodestra, questa potrebbe essere la diapositiva di una scelta. Cosa sta succedendo sta nelle parole del deputato di Forza Italia Osvaldo Napoli: “Il presidente Renzi ha deciso di sfidare il suo partito, o di fingere di sfidarlo. Porre la questione di fiducia su una delega tanto ampia quanto vaga, al netto del contenuto dell’emendamento del governo, è un problema che riguarda Renzi e il Pd. Forza Italia non può che votare contro la fiducia”. Per il momento, tuttavia, di “conseguenze politiche” nemmeno l’ombra: la fiducia sul Jobs act, dichiara il bersaniano Alfredo D’Attorre (tra coloro che nella direzione Pd ha votato no), è “una scelta sbagliata, un segnale di insicurezza del governo. Sarebbe giusto consentire un confronto di merito al Senato ma è chiaro che prevarrà la responsabilità di non far cadere il governo”. Di “passaggio obbligato” parla invece il renziano Andrea Marcucci: “La fiducia è un passaggio obbligato. Il jobs act è una priorità, il Parlamento deve approvare la riforma al più presto per fornire al Governo Renzi gli strumenti per cambiare il mercato del lavoro”. Il più duro resta Fassina: “Le conseguenze politiche della fiducia sul jobs act sono molto gravi innanzitutto per il Parlamento; il governo lo costringe a dargli una delega in bianco, è un problema istituzionale molto grave che merita l’attenzione del Presidente della Repubblica” afferma al Gr1 Rai.
Mattero Renzi, riferiscono fonti di governo, punta a ottenere l’ok del Senato sulla riforma del lavoro entro mercoledì, quando si svolgerà a Milano il vertice europeo sull’occupazione. Nel testo del maxiemendamento da presentare martedì 7 ottobre non dovrebbe esserci quella parte dove viene garantito il reintegro per i licenziamenti disciplinari.
Nel merito però il governo non ha ancora formalizzato le sue scelte. L’esecutivo sta mettendo a punto il maxi-emendamento, che non è stato deciso ancora di presentare e sul quale, eventualmente, sarà posta la fiducia che il Consiglio dei ministri ha autorizzato. La fiducia, nel caso in cui il governo optasse per questa soluzione, sarà richiesta dall’esecutivo direttamente in aula al Senato. La delicatezza della decisione sta nel fatto che nell’assemblea di Palazzo Madama i numeri sono sempre una questione da tenere sott’occhio, tanto più che – secondo i calcoli dei giornali di questi ultimi giorni – i “dissidenti” (a parole per il momento) dentro al Pd sarebbero molti di più di quelli che si erano fatti avanti sulle riforme istituzionali: si parla anche di una trentina di senatori. Ovviamente, però, è tutto sulla carta. Gianni Cuperlo, uno dei leader della sinistra democratica, è la fotografia della cautela: “Prima vediamo il testo”. Anche se fino all’ultimo ha lanciato appelli perché il governo non ponesse la fiducia. D’altra parte ricorda il vice ministro all’Economia, Enrico Morando, che ha sempre rappresentato l’ala destra del Pci e poi nel Pds, Ds e Pd, riflette: “La posizione che ho difeso in questi anni è stata quasi sempre di minoranza, non mi sono mai stancato di difenderla ma non mi sono mai sognato di dire che in Parlamento avrei votato in modo diverso da quanto decideva sullo stesso argomento la maggioranza”.
A prescindere dal merito la volontà di Renzi è fare presto. Ne è prova il fatto che il confronto con le parti sociali si consumerà tutto in un giorno. Alle 8 il governo incontrerà i segretari dei sindacati Susanna Camusso (che ha ribadito il parallelo tra il capo del governo e Margaret Thatcher), Raffaele Bonanni, Luigi Angeletti e il rappresentante dell’Ugl Geremia Mancini. Al vertice ci sarà anche il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Alle 9 sarà già il turno delle associazioni dei datori di lavoro: Confindustria, Rete Imprese Italia e Alleanza delle cooperative italiane (che riunisce coop “rosse” e “bianche” e il cui ex presidente è proprio Poletti). Alle 10 sarà la volta dei rappresentanti sindacali delle forze dell’ordine che nelle settimane scorse avevano minacciato lo sciopero.
E il decisionismo di Renzi pare piacere agli italiani, che preferiscono che la riforma del lavoro proceda anche in mancanza di accordo con la parte sindacale. Il sondaggio che Ipr Marketing, diretto da Antonio Noto, ha effettuato per conto del Tg3, evidenzia infatti che quasi la metà degli intervistati (48%) è a favore di una approvazione decisa, anche senza cercare accordi con i sindacati negli incontri previsti, mentre un terzo degli italiani (36%) preferisce ipotizzare un possibile compromesso.