Un incidente evitabile. L’analisi delle cause che hanno portato allo schianto di Jules Bianchi a Suzuka porta ad un’unica conclusione: se organizzatori e direttori di gara avessero anteposto la sicurezza allo spettacolo (e agli impegni con le televisioni), probabilmente adesso il pilota francese non sarebbe in fin di vita all’ospedale universitario di Mie. Perché dopo la morte di Ayrton Senna nel ’94 la Formula 1 ha fatto molti passi avanti in materia di sicurezza: macchine più robuste, rischio fuoco quasi azzerato, sistemi di ritenzione migliorati, vie di fuga e barriere aumentate, per citarne alcuni. Ma resta uno sport dove i piloti corrono sempre sul filo del limite. E se le condizioni non sono ottimali, il rischio diventa troppo alto per parlare di semplice fatalità quando succede un incidente.
La pioggia e l’orario di gara – Il primo problema è stato di tipo meteorologico. Fuori dal controllo umano, dunque. Ma fino a un certo punto. Perché da giorni si sapeva che nell’ orario della gara sulla zona si sarebbe abbattuto il tifone Phanfone. Impensabile annullare la corsa: il calendario già ingolfato e le televisioni escludevano a priori questa ipotesi. Nella giornata di venerdì si era parlato allora di spostare la gara al sabato, o almeno di anticipare di qualche ora la partenza. Sarebbe stato sufficiente per evitare la tempesta. Neanche questo è stato fatto, per rispettare gli accordi commerciali. Ci si è limitati a far partire la corsa dietro la safety car. “All’inizio la pioggia non era incredibile”, è stata la difesa di Niki Lauda. In realtà la situazione è peggiorata giro dopo giro, e a detta di molti piloti in pista non si vedeva praticamente nulla al momento dell’incidente. L’alto numero di ritiri, del resto, testimonia le precarie condizioni di aderenza del tracciato.
La safetycar e il “giallo” della bandiera verde – Anche la condotta del direttore di gara, il britannico Charlie Whiting, ha lasciato molto a desiderare. Nonostante le condizioni invitassero a maggior prudenza, il giudice (che sarebbe pure delegato alla sicurezza della Fia) non è intervenuto come e quando avrebbe potuto. Al 43esimo giro Sutil è uscito di pista, e ha reso necessario l’intervento del carro-gru per rimuovere la sua vettura. C’erano tutti gli elementi per richiamare la safety car. Ma, probabilmente per non spezzettare ulteriormente la gara (c’era già stata un’altra interruzione), i giudici hanno preferito sventolare doppia bandiera gialla (una segnalazione di pericolo, che invita i piloti a rallentare e prepararsi eventualmente a fermarsi). Anche su questo punto, tra l’altro, ci sono grandi dubbi. Il comunicato ufficiale della Fia parla appunto di “bandiera gialla” prima della curva incriminata. Nel video dell’incidente, però, si vede distintamente uno steward che sventola una bandiera verde, che indica invece cessato pericolo (seppur per la curva successiva). Anche questo potrebbe aver indotto in errore Bianchi: ma solo l’inchiesta sui dati telemetrici della sua monoposto potrà chiarire la dinamica della sua uscita di pista. Di certo c’è che la gestione della gara è stata confusa, poco tempestiva ed ancor meno accorta.
La via di fuga ostruita e i precedenti – Il resto l’ha fatto il carro-gru che ha invaso la via di fuga per rimuovere la macchina di Sutil. La Marussia di Bianchi, dopo essere uscita di pista, ha attraversato tutto lo spiazzo in ghiaia e si è andata a schiacciare sotto le ruote del mezzo di soccorso, finendo distrutta nella sua parte superiore. Senza questo terribile impatto, probabilmente, si sarebbe trattato di un semplice incidente contro le barriere protettive ai bordi del tracciato. Come e non più di quello in cui era rimasto coinvolto qualche secondo prima il pilota della Sauber. Tanti interrogativi, allora, si pongono anche sulla presenza in quel punto del carro-gru. E sul tipo di mezzo scelto dagli organizzatori: in altri circuiti, infatti, per casi simili vengono utilizzate le gru, capaci di operare da una distanza maggiore, senza invadere le vie di fuga. C’erano anche dei precedenti che avrebbero dovuto indurre a maggior prudenza. Nel marzo del 2012 Maria de Villota, collaudatrice proprio del team Marussia, nell’autodromo inglese di Duxford si era andata a schiantare nel corso di un test contro un camion d’appoggio posizionato ai bordi della pista. Anche in quel caso l’incidente era stato causato dalla presenza inopportuna di un mezzo nella via di fuga, e aveva avuto conseguenze tragiche: la pilota spagnola aveva perso un occhio, ed è poi morta un anno dopo per danni neurologici. Mentre nel 2003 a Suzuka era deceduto il giapponese Dajiro Kato nel corso del gran premio di motociclismo. Dopo quell’evento la MotoGp ha abbandonato il circuito di Suzuka: per gli organizzatori non era più sicuro. Non per la Formula 1, che invece ha continuato a correrci. E ora deve fare i conti con quanto accaduto a Jules Bianchi.