Il prossimo 28 ottobre Nicola Mancino vuole salire sul Colle più alto di Roma per assistere alla deposizione di Giorgio Napolitano al processo sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra. Dopo i boss mafiosi Salvatore Riina e Leoluca Bagarella, quindi, anche l’ex presidente del Senato ha fatto depositare dai suoi legali una richiesta alla corte d’Assise di Palermo per chiedere di essere presente al Quirinale durante la testimonianza del Presidente della Repubblica.
Due settimane fa il presidente della corte Alfredo Montalto aveva ammesso la citazione del capo dello Stato come teste: ma non esistendo una norma che ne regolasse nello specifico le modalità, il giudice ha applicato per analogia l’articolo 502 del codice di procedura penale. L’udienza, in pratica, si svolgerà alla presenza dell’accusa – rappresentata dai pm Vittorio Teresi, Roberto Tartaglia, Nino Di Matteo e Francesco Del Bene – e degli avvocati difensori: la norma non prevede infatti che siano presenti gli imputati, le parti private e il pubblico. Lo stesso articolo applicato da Montalto, però, al secondo comma specifica che nel caso in cui uno degli imputati chiedesse di essere presente all’udienza, tale richiesta dovrà essere accolta. Lo svolgimento di un’udienza in assenza degli imputati potrebbe infatti comportare la nullità dell’intero processo. Proprio stamattina l’avvocato Luca Cianferoni, legale di Riina, ha depositato alla corte d’Assise una memoria per motivare la richiesta del capo dei capi di assistere alla deposizione del capo dello Stato.
Il 31 ottobre 2013, Napolitano aveva fatto pervenire alla corte una lettera in cui spiegava di non avere “nulla di utile da riferire” per il processo. A chiedere la citazione del capo dello Stato era stata infatti l’accusa, con l’obbiettivo d’interrogare il Presidente in merito alla missiva spedita da Loris D’Ambrosio al Quirinale il 18 giugno 2012. Poco dopo la chiusura delle indagini sulla Trattativa, e il deposito delle intercettazioni in cui Mancino (ora imputato per falsa testimonianza) cercava l’appoggio del Colle per non finire coinvolto nell’inchiesta, l’ex consulente giuridico prese carta e penna per scrivere a Napolitano, ed esporgli i suoi dubbi sul rischio di “utile scriba di indicibili accordi” tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, quando prestava servizio all’Alto Commissariato Antimafia. Il 17 novembre 2013, e quindi dopo l’arrivo della lettera del Colle, la corte d’Assise si era riservata di decidere se sentire o meno il capo dello Stato: quasi un anno dopo ha optato per la prima ipotesi.
Giovedì prossimo, invece, Montalto dovrà sciogliere un’altra riserva: ammettere o meno la presenza di Riina, Bagarella e Mancino nell’udienza fissata al Quirinale per la deposizione di Napolitano. Se dalla corte dovesse arrivare il via libera, i boss mafiosi si collegheranno in video conferenza dai penitenziari in cui sono detenuti, mentre l’ex vice di Napolitano al Csm si recherà al Quirinale di persona. Dalla sentenza della Consulta, che ordinava la distruzione delle quattro telefonate tra lo stesso Mancino e Napolitano dopo il conflitto d’attribuzioni sollevato dal Colle contro la procura di Palermo, sono passati meno di due anni.