«No, non si può sempre stare a guardare», dice il tenente Innocenzi (Alberto Sordi) di Tutti a casa di Comencini: e lo dice reagendo all’8 settembre del 1943, data fatale del «disfacimento dello Stato» (Emilio Gentile). Ogni generazione è chiamata a reagire ad un suo 8 settembre: il nostro si chiama Sblocca Italia. Tra le tante ‘riforme’ presentate dal governo Renzi-Berlusconi questa appare la più feroce, la più immediatamente distruttiva, la più regressiva. Pur di costruire, favorire la speculazione, oliare il binario degli interessi privati, il decreto di Maurizio Lupi che sta per arrivare in discussione alla Camera si propone di scardinare un intero sistema di tutele non dell’inerzia, ma della salute dei cittadini e di quella del territorio e del paesaggio. La parola d’ordine è deregulation: bomba libera tutti per il cemento. E per la corruzione: sottoprodotto inevitabile (ma forse non imprevisto) di questa norma, come ha notato la Banca d’Italia. Il sistema Expo esteso all’Italia intera, insomma.
Così, una sera di settembre in cui chi scrive e Domenico Finiguerra (già sindaco del primo Comune italiano a decidere il consumo di suolo zero) parlavamo di tutto questo con i cittadini di Scandicci riuniti da Slow Food, Sergio Staino ha lanciato un’idea: perché non proviamo a raccontare agli italiani cosa c’è di male nello Sblocca Italia? L’abbiamo fatto: e da oggi tutti possono scaricare gratuitamente Rottama Italia. Perché il decreto Sblocca Italia è una minaccia per la democrazia e per il nostro futuro dal sito della rivista Altreconomia. L’abbiamo scritto in sedici: giuristi (Paolo Maddalena, Giovanni Losavio), urbanisti (Vezio De Lucia, Edoardo Salzano), giornalisti (Antonello Caporale, Luca Martinelli) e molti altri.
Massimo Bray si chiede se «è davvero necessario per “sbloccare” l’Italia travolgere e stravolgere l’ordinamento con un provvedimento legislativo urgente di cui non si è valutato l’impatto». Salvatore Settis spiega perché il decreto trasforma il silenzio assenso delle soprintendenze «da tutela del cittadino contro l’inerzia della pubblica amministrazione in un trucco che cestina un principio fondamentale della Costituzione». E il fondatore di Slow Food Carlo Petrini interpreta con pacata desolazione il sentimento che si fa largo nel Paese: «A sgombrare qualsiasi dubbio, a svelare la distanza abissale tra gli auspicati buoni propositi (veri o presunti che fossero) e la realtà, ci ha pensato lo Sblocca Italia, in modo particolare per quanto concerne le misure dedicate all’edilizia e alla gestione di beni comuni (alcuni sanciti da un referendum, com’è avvenuto per l’acqua). Oggi persino il Governo Monti, grazie all’iniziativa dell’allora Ministro dell’Agricoltura Mario Catania, può apparire più progressista e innovatore dell’esecutivo guidato da Matteo Renzi».
Queste riflessioni, e i pensieri figurati di otto autori satirici (tra i quali Altan, Ellekappa, Staino, Vauro, Vincino, Bucchi, Giannelli), sono concepiti come un salvagente di informazione e conoscenza: per non annegare nel mare della propaganda renziana. Come un atto di «resistenza individuale e collettiva agli atti dei poteri pubblici che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla Costituzione» (Dossetti): perché la prima, e più importante, resistenza allo Sblocca Italia passa attraverso la possibilità di farsi un’opinione e di farla valere. Discutendone nelle piazze e nei teatri, nelle televisioni e alla radio. Richiamando al progetto della Costituzione i nostri rappresentanti in Parlamento. E anche ricorrendo al referendum: se – alla fine e nonostante tutto – questo sciagurato decreto diventerà legge dello Stato.
Abbiamo deciso di scrivere questo libro perché lo Sblocca Italia è un doppio salto mortale all’indietro: un terribile ritorno ad un passato che speravamo di aver lasciato per sempre. Un passato in cui «sviluppo» era uguale a «cemento». L’abbiamo scritto perché vogliamo che l’Italia cambi verso: ma davvero. Perché vogliamo un Paese moderno. E cioè un Paese che guardi avanti. Un Paese che sappia distinguere tra cemento e futuro. E scelga il futuro. Perché vogliamo un Paese in cui chiamiamo sviluppo ciò che coincide con il bene di tutti, e non con l’interesse di pochi. Un Paese in cui lo sviluppo sia ciò che innalza – e non ciò che distrugge – la qualità della nostra vita. Un Paese che cresca, e non un Paese che divori se stesso. Perché non è vero che non c’è alternativa: ma è vero che questa alternativa dipende da noi.
Il Fatto Quotidiano, 8 ottobre 2014