Tanta fatica per portare a casa l’approvazione di un testo che non cita mai l’oggetto della discordia, cioè l’articolo 18. E che, per produrre effetti, dovrà innanzitutto essere licenziato da entrambi i rami del Parlamento e poi avrà bisogno dell’approvazione dei decreti delegati (le norme attuative), destinati ad arrivare nel 2015. Insomma: la fiducia sul Jobs Act, votata a notte fonda dopo ore di caos a Palazzo Madama, è solo il primissimo passo lungo la strada della discussa riforma del mercato del lavoro fortemente voluta da Matteo Renzi. Il maxi emendamento del governo presentato mercoledì, comunque, contiene alcune novità e correzioni rispetto al testo incardinato al Senato in aprile. Dalle agevolazioni fiscali per il contratto a tempo indeterminato ai paletti fissati per delimitare la possibilità di demansionare il dipendente (un aspetto, valenze simboliche a parte, delicato quanto l’articolo 18) e di controllarlo a distanza. Ritocco significativo anche sul fronte della sperimentazione del salario orario minimo, che sarà limitata ai settori “non regolati dal contratto nazionale“. Come già detto, nel ddl non ci sono invece espliciti riferimenti alle tutele del lavoratore in caso di licenziamento. Ne ha però parlato, nel suo intervento in aula, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Ecco i contenuti del testo approvato.
Cambiare mansioni si può. Ma il salario deve restare uguale – Il maxi emendamento prevede, come il precedente testo licenziato dalla commissione Lavoro al Senato, la possibilità per le aziende di rivedere le mansioni del lavoratore. Cioè anche modificarne al ribasso l’inquadramento. Ma nel nuovo ddl si legge che questo potrà avvenire solo “in caso di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale” e sulla base di “parametri oggettivi”. Dovrà inoltre tener conto non solo “dell’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale” ma anche della “tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche” del dipendente. Che dovrà quindi mantenere lo stesso livello salariale. La contrattazione aziendale e territoriale può però individuare “ulteriori ipotesi”. Resta anche il via libera alla “revisione della disciplina dei controlli a distanza, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica”. Sì, dunque, alle telecamere nei luoghi di lavoro. Compare però un riferimento alla privacy: oltre che le “esigenze produttive e organizzative dell’impresa” si dovranno tener presenti la “tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore”.
Contratti stabili più convenienti per le imprese – Il governo punta a rendere il contratto a tempo indeterminato “forma privilegiata” di assunzione rendendolo “più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti”. Di conseguenza, si immagina, i decreti attuativi conterranno agevolazioni fiscali e contributive che convincano le aziende a scegliere questa tipologia (collegata a “tutele crescenti” con l’anzianità di servizio) al posto dei contratti a termine. Che peraltro, stando alle anticipazioni del ministro, saranno oggetto di un riordino “drastico”, con l’abolizione delle forme “più permeabili agli abusi e più precarizzanti, come i contratti di collaborazione a progetto“.
Reintegro solo per i licenziamenti discriminatori e quelli disciplinari gravi – Come più volte ribadito dall’esecutivo, il reintegro previsto dall’articolo 18 dello Statuto resta per i licenziamenti discriminatori. Per quanto riguarda quelli ingiustificati di natura disciplinare, si potrà chiedere di riavere il posto di lavoro solo nei casi “particolarmente gravi”, le cui fattispecie saranno poi specificate nel decreto delegato. Questa possibilità sarà invece eliminata per i licenziamenti economici, sostituendola “con un indennizzo economico, crescente con l’anzianità”.
Addio cassa integrazione straordinaria. Nuovi ammortizzatori anche per i collaboratori – Il governo si è impegnato a finanziare un nuovo ammortizzatore sociale “universale” con 1,5 miliardi aggiuntivi rispetto agli 11-12 che dovrebbero derivare dallo stop alle integrazioni salariali oggi previste “in caso di cessazione di attività aziendale”. Vale a dire la cassa integrazione straordinaria e l’indennità di mobilità. La nuova tutela (“nuova Aspi”) dovrebbe essere estesa anche ai collaboratori e sarà collegata a misure per il ricollocamento. Quanto alla cig ordinaria, i decreti delegati dovranno “regolare l’accesso solo a seguito di esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro, eventualmente destinando una parte delle risorse a favore dei contratti di solidarietà”. E arriva anche, per quanto tutta da dettagliare, una novità destinata a provocare reazioni da parte di Confindustria: la previsione di una “maggiore compartecipazione da parte delle imprese utilizzatrici”. Il ddl delega prevede poi la nascita di una Agenzia nazionale per l’occupazione, destinata a accorpare tutte le competenze in materia di servizi per l’impiego, politiche attive per il lavoro e Aspi, e di una Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, che prenderà il posto dei servizi ispettivi di ministero del Lavoro, Inps e Inail.
Salario minimo solo nei settori senza contratto nazionale – Resta l’obiettivo di introdurre “eventualmente anche in via sperimentale” il compenso orario minimo anche per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, ma solamente nei settori non regolati da contratti nazionali. Nessuna variazione, invece, sull’ipotesi di semplificare e estendere il campo di applicazione dei contratti di solidarietà potenziandone l’utilizzo in chiave “espansiva”, per aumentare cioè l’organico riducendo però al tempo stesso l’orario di lavoro e la retribuzione del personale. Il ricorso ai voucher, cioè i buoni lavoro utilizzati per le prestazioni occasionali, viene esteso a nuovi settori, ma torna il tetto dei 5mila euro l’anno, che nel testo di partenza della delega sul lavoro era stato elevato scatenando critiche contro il rischio di una eccessiva precarizzazione.
Ampliamento delle indennità di maternità – L’articolo 5 del ddl rimanda a un decreto delegato l’estensione dell’applicazione dell’indennità di maternità, l’incentivazione di “forme di conciliazione dei tempi di lavoro e di famiglia, anche attraverso il ricorso al telelavoro, l’introduzione di un credito di imposta per le lavoratrici con figli minori o disabili e la possibilità di cessione di giorni di vacanza o permesso a colleghi con bambini malati (le cosiddette “ferie solidali“).