Altro che tetto agli stipendi dei dirigenti della pubblica amministrazione. Dall’introduzione della “fascia unica”, prevista dal disegno di legge delega sulla riforma della pa, “non potranno che derivare maggiori costi a regime, con riferimento all’ammontare dei trattamenti”, per gli assunti con i nuovi concorsi. A rilevarlo la Corte dei conti, nel documento depositato in commissione Affari costituzionali del Senato in occasione dell’audizione sulla riforma della pa. Insomma: il superamento delle attuali due fasce (il limite massimo di 240mila euro in busta paga vale ora, in base al decreto sulla pa firmato dal ministro Marianna Madia, per la prima fascia, cioè i capi dipartimento) non comporta alcun risparmio ma anzi esborsi superiori a quelli attuali. Non solo: secondo la magistratura contabile suscita ”perplessità” la previsione che la retribuzione di risultato non possa superare il 15% del totale degli emolumenti. Oggi, ricorda la Corte, ammonta al 30% della retribuzione complessiva. Il criterio contenuto nella delega, quindi, “appare in controtendenza rispetto alla più volte enunciata necessità di correlare una parte congrua del trattamento economico al raggiungimento di obiettivi prefissati”.
Versante economico a parte, il presidente della Corte Raffaele Squitieri, audito sulla riforma, ha sottolineato che il testo “aumenta i margini di discrezionalità per il conferimento degli incarichi”, portando a un “insieme di elementi che potrebbero sacrificare l’autonomia dei dirigenti” e non garantisce equilibrio tra “indirizzo politico e attività gestionale” della dirigenza pubblica. La discrezionalità è “solo in parte temperata dalla previsione di requisiti legati alla particolare complessità degli uffici e al grado di responsabilità che i dirigenti sono chiamati ad assumere”. E sull’autonomia potrebbero pesare anche “la breve durata degli incarichi attribuiti e il rischio che il mancato conferimento di una funzione possa provocare la decadenza del rapporto di lavoro”. Per di più, ha rincarato Squitieri, “i criteri direttivi della riforma delineano un modello ordinamentale che privilegia, per il conferimento della titolarità di uffici anche di piccole dimensioni, non già il possesso di competenze specifiche legate alla conoscenza della complessa normativa dei settori di intervento, quanto il possesso di competenze manageriali che, come l’esperienza ha dimostrato, risultano di limitata applicabilità nell’ordinamento amministrativo”.
Più in generale, la delega sulla riforma della pubblica amministrazione è ”coraggiosa” ma in alcuni capitoli andrebbe “meglio calibrata”, perché pecca di ”genericità”. I margini per il riordino della disciplina delle partecipazioni azionarie degli enti pubblici, per esempio, “appaiono molto ampi e non facilmente delimitabili”. E non si giustifica la limitazione del riordino alle società per azioni: l’intervento andrebbe esteso “a tutto il complesso mondo delle interessenze patrimoniali detenute dalle amministrazioni pubbliche”. Andrebbe inoltre fatta una distinzione tra tipi di soggetti partecipati “in relazione alle attività svolte e agli interessi pubblici di riferimento, con individuazione della relativa disciplina, stabilendo il relazione al tipo di società la portata delle deroghe rispetto alla disciplina privatistica”.
Altre osservazioni riguardano poi le norme sulla trasparenza, l’incompatibilità e gli obblighi in materia di prevenzione della corruzione. L’articolo 6 del ddl dispone che “siano ridotti e concentrati gli oneri gravanti in capo alle amministrazioni pubbliche”. Una previsione, scrive la Corte, che “sembra obbedire alla necessità di ridurre i cosiddetti oneri burocratici derivanti dalle nuove norme anticorruzione”, in seguito “rilievi mossi da più parti” riguardo “alla numerosità degli adempimenti introdotti dalle norme in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza”. I magistrati contabili, “pur comprendendo la necessità di una revisione in materia”, ribadiscono “la necessità di adeguare le misure di prevenzione della corruzione a quelle degli standard ormai consolidati in altri Paesi”.