Le autorità sanitarie americane hanno confermato il primo caso di contagio del virus Ebola sul suolo Usa. Si tratta dell’infermiera dell’Health Presbyterian Hospital di Dallas, che era stata a contatto e aveva prestato cure a Thomas Eric Duncan, il cosiddetto paziente zero negli Usa, poi morto a causa del virus Ebola. Il dipartimento dei servizi sanitari del Texas, in un comunicato, spiega che l’esame preliminare è stato eseguito in un laboratorio pubblico di Austin.
“Sapevamo che un secondo caso poteva essere realtà e ci eravamo preparati a questa possibilità – commenta il dottor David Lakey, commissario del servizio sanitario del Texas -. Stiamo ampliando la nostra squadra a Dallas e stiamo lavorando con estrema diligenza per impedire l’ulteriore diffusione”. Ora le persone che sono entrate in contatto con l’uomo contagiato, arrivato negli Usa dopo aver fatto scalo a Bruxelles, saranno monitorate in base alla natura delle loro interazioni. Sono ottanta le persone che sono entrate in contatto con l’uomo.
L’operatrice sanitaria contagiata è in condizioni stabili. Il dottor Daniel Varga, della Texas Health Resource, ha spiegato ch indossava la tuta protettiva integrale quando si è occupato di Duncan. In un primo momento si era parlato genericamente di un operatore sanitario perché la famiglia aveva chiesto “massima privacy”. Se la diagnosi iniziale sarà confermata, si tratterebbe del primo caso di contagio all’interno degli Usa. La donna ha avvertito le prime linee di febbre venerdì notte in seguito ai test di automonitoraggio richieste dal Centro per il controllo delle malattie di Atlanta. Tutte le persone che sono state in contatto con lei saranno identificate e controllate. Fuori l’abitazione della donna è arrivata la polizia.
Secondo il direttore del Centro per il controllo delle malattie (Cdc) di Atlanta, Tom Frieden, è stata una violazione del protocollo di sicurezza a provocare il primo caso di trasmissione del virus: “Non sappiamo cosa è avvenuto nel trattamento del paziente di Dallas – ha affermato Frieden – ma ad un certo punto c’è stata una violazione del protocollo e quella violazione ha portato all’infezione”.
La notizia del decesso di Duncan, 42 anni – cittadino liberiano arrivato negli Stati Uniti in visita alla fidanzata – aveva provocato una reazione di allarme in tutti gli Stati Uniti. L’uomo aveva contratto il virus a Monrovia aiutando la figlia di una coppia di amici ad andare in ospedale. Arrivato da Monrovia via Bruxelles a Washington il 20 settembre con il virus in incubazione, l’uomo si era ammalato alcuni giorni più tardi. Il 26 settembre, con febbre alta, era stato rimandato a casa senza la corretta diagnosi.
Intanto l’India ha cancellato un summit con 54 nazioni africane previsto a dicembre per il rischio Ebola. La notizia dello slittamento dell’India-Africa Forum Summit era già emersa qualche settimana fa, ma ora è stata confermata dal ministero degli Esteri. “La decisione – ha detto un portavoce – è stata presa dopo una attenta valutazione e dopo aver preso atto delle possibili difficoltà logistiche che dobbiamo affrontare in seguito all’infezione di Ebola in alcune parti dell’Africa”. Circa mille delegati erano stati invitati all’evento che si doveva tenere il 4 dicembre nella capitale. Il rinvio del summit, nato nel 2008 su iniziativa di New Delhi, avrebbe sollevato delle perplessità delle nazioni africane partecipanti. “L’emergenza sanitaria – scrive il giornale – non ha indotto le Nazioni Unite o gli Usa a rimandare l’Assemblea generale che si è tenuta lo scorso mese a New York