Abdullah al-Hamid, condannato a 11 anni; Mohammad al-Qahtani, condannato a 10 anni; Suliaman al-Rashudi, condannato a 15 anni; Mohammed al-Bajadi, già condannato a quattro anni e in attesa di nuovo processo; Abdulkarim al-Khodr, già condannato a otto anni e in attesa di nuovo processo; Omar al-Said, già condannato a quattro anni ma in attesa di nuovo processo; Abdulrahman al-Hamid, detenuto senza accusa né processo; Saleh al-Ashwan, detenuto senza accusa né processo; Fowzan al-Harbi, condannato a sette anni in primo grado, attualmente a piede libero in attesa dell’appello; Abdulaziz al-Shubaily, sotto processo dinanzi al tribunale penale speciale; Issa al-Hamid, sotto processo dinanzi al tribunale penale speciale.
Uno per uno, dal 2011, le autorità giudiziarie dell’Arabia Saudita hanno messo a tacere 11 attivisti dell’Associazione saudita per i diritti civili e politici (Acpra), una delle poche organizzazioni indipendenti del paese.
Fondata nel 2009, l’Acpra è entrata immediatamente nel mirino delle autorità del regno a causa delle sue denunce sulle violazioni dei diritti umani. La repressione si è intensificata nel 2011 con l’inizio delle cosiddette “primavere arabe”. Da allora, gli esponenti dell’associazione sono stati incriminati per reati quali “rottura del vincolo di fedeltà al re”, “disubbidienza al re”, “incitamento dell’opinione pubblica contro le autorità” e altre fattispecie collegate alle nuove norme antiterrorismo, che criminalizzano ogni forma di espressione pacifica del dissenso.
Nel rapporto che descrive i profili degli 11 attivisti, Amnesty International ricorda le condizioni inumane in cui la maggior parte di essi è detenuta e le torture subite dall’arresto in poi.
Ad esempio, Saleh al-Ashwan è stato arrestato nel luglio 2012 e tenuto per due mesi in isolamento totale, senza poter comunicare con l’esterno. Ha denunciato di essere stato picchiato, denudato e sospeso per le braccia al soffitto di una stanza degli interrogatori.
Almeno quattro esponenti dell’Acpra sono entrati in sciopero della fame per protestare contro le condizioni di detenzione. Mohammed al-Bajadi è stato alimentato a forza per endovena.
Grazie all’alleanza con gli Usa e al suo ruolo nella “guerra al terrore” – compresa la partecipazione agli attacchi aereo contro lo Stato islamico – l’Arabia Saudita può continuare a violare i fondamentali diritti umani senza il minimo rimprovero.