Volete veder tacere le donne? Andate al cinema. E’ questa la conclusione di “Gender Bias Without Borders”, lo studio della University of Southern California’s Annenberg School Stacey L. Smith commissionato dalla agenzia delle Nazioni Unite per la parità di genere. Il gruppo di ricercatori ha preso in considerazione la produzione cinematografica degli ultimi tre anni in dieci paesi: Usa, Uk, Australia, Cina, Francia, Germania, Russia, Giappone, Corea del Sud e Brasile, sottoponendo i film usciti a diversi “test di genere” che vanno dal numero di personaggi femminili presenti in un cast al numero di battute di protagoniste e comprimarie, dal loro rapporto con la trama al numero di volte in cui il personaggio gira in topless proprio quando il protagonista va a trovarla.
“Le ricerche rivelano che la percentuale delle donne che hanno battute, significative o meno, non è cambiato in mezzo secolo”, spiega Stacey L. Smith, professoressa specializzata in studi di genere. E mostra i dati: nel 70% dei film analizzati sono gli uomini a parlare mentre le donne per lo più restano mute, limitandosi a fungere da scenografia attorno ai colleghi maschi, restando a guardarli prendere in mano la situazione. Tra i paesi in cui va meno peggio Gran Bretagna (le donne parlano nel 38% dei casi) e Brasile (37%). La motivazione è semplice: solo nel 23% dei film usciti le protagoniste sono donne e si tratta per lo più drammi, film di animazione e commedie. Niente azione. Meglio per le comprimarie, che raggiungono quota 30%. E le altre? Tacciono e fungono riempi-inquadratura.
I paesi con cast più al femminile sono l’Australia, con il 40%, seguita da Brasile, Cina e Francia, mentre le pellicole al femminile sono prodotte soprattutto in Korea, Australia e Giappone, seguiti a metà classifica da Uk (il 30% del totale), con Francia e Usa in fondo. “Ci si aspetterebbe che i ruoli femminili fossero migliori e un po’ di più, visto che le donne rappresentano il 50% della popolazione del pianeta”, prosegue Tracy L. Smith facendo notare come l’origine del problema sia chi sta dietro la macchina da presa, chi investe su una storia, chi la scrive e la dirige. Insomma, produttori, registi e sceneggiatori, la colonna portante del business dell’intrattenimento per cui un film con protagoniste donne equivale a scarsi incassi.
Il cinema continua a essere un mondo maschile. Solo il 7% delle pellicole uscite sono dirette da donne, anche se giovani produttrici (22%) e sceneggiatrici (20%) crescono, incentivate in particolare da Cina, Uk, Brasile. E il Female directors in European film productions, l’ ultimo rapporto dell’Osservatorio europeo dell’audiovisivo curato da Julio Talavera Milla, che ha preso a campione 9072 film europei tra il 2003 e il 2012, conferma questi dati. A dispetto dei successi internazionali come Bridget Jones 2, Iron Lady e Nanny McPhee -Tata Matilda, solo il 16% dei film europei ad alto budget negli ultimi dieci anni è stato affidato a registe donne.
Inoltre le donne nei film, quando ci sono, nel 25% dei casi sono in déshabillé (contro il 11% degli uomini) o troppo impegnate a sedurre il maschio di turno (25%) per occuparsi di risolvere la trama (22%). E questo avviene nei film tedeschi come i quelli made in Usa. Unico paese a discostarsi: la Corea del Sud. Dunque una donna muta, nuda, sexy. Sì, ma anche magrissima (39%), a differenza dei colleghi attori che, nel 70% dei casi, sfoggiano la “pancetta” e apprezzano anche le forme delle comprimarie con battute sessiste (13%). Forse i registi vivono in un altro mondo.
(nella foto Sam Mendes e Kate Winslet durante le riprese di “Revolutionary Road”)