Massimo Giuseppe Bossetti resta in carcere. Lo ha deciso il Tribunale del Riesame di Brescia, respingendo il ricorso dei legali del muratore di Mapello, fermato il 16 giugno con l’accusa di essere il killer di Yara Gambirasio, la 13enne di Brembate di Sopra uccisa il 26 novembre 2010. Secondo i giudici del capoluogo lombardo gli indizi contro il 44enne sono tali da giustificare l’isolamento nel carcere di Bergamo. Lo scorso 14 ottobre gli avvocati Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni avevano chiesto l’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare per il loro assistito – quel giorno presente in aula – e che venisse inoltre dichiarata nulla la relazione dei carabinieri del Ris, con la quale si è risaliti al Dna di Ignoto 1, compatibile con quello di Bossetti, rinvenuto sul corpo della ragazzina trovata cadavere il 26 febbraio 2011 in un campo di Chignolo d’Isola.

Nella loro istanza gli avvocati mettevano in discussione proprio questo elemento ritenuto “non così scevro da dubbi, tanto da essere individuato sempre dai Ris come ‘quantomeno discutibile’”. Dna che, invece, secondo i detective dello Sco e dei Ros appartiene al 44enne e costituirebbe la “prova regina” che ha spinto il pm di Bergamo Letizia Ruggeri a muovere, nel giugno scorso, l’accusa di omicidio contro il muratore. E che ha portato all’epilogo di due anni e mezzo di indagini. Durante i quali gli investigatori hanno setacciato migliaia di profili biologici delle valli bergamasche. Fino ad arrivare a quello di Giuseppe Guerinoni, autista di pullman deceduto nel 2009 e – secondo la Procura – padre biologico di Massimo Bossetti, avuto con Ester Azzuffi. Ma gli indizi contro il 44enne non finiscono qui.

Sì, perché sull’uomo – che si è sempre proclamato innocente – gli investigatori hanno raccolto altri dettagli che proverebbero la sua colpevolezza. Come la polvere di calce rinvenuta nei polmoni della ragazza; i tabulati telefonici del giorno dell’omicidio che collocano Bossetti nella zona di Brembate; la frequentazione degli stessi luoghi di Yara; e un furgone bianco, immortalato dalle telecamere vicino alla palestra della 13enne quel 26 novembre, che secondo gli inquirenti appartiene a Massimo Bossetti. Particolari che la difesa dell’operaio edile ha cercato di smontare. Secondo Gazzetti e Salvagni, infatti, la calce che sarebbe stata trovata nei polmoni della 13enne “appare solo nelle conclusioni della relazione medico-legale e non quando si analizza l’apparato respiratorio della vittima”. Il documento Vodafone, poi, che dimostrerebbe come mentre il cellulare di Yara agganciava la cella di Brembate prima di essere spento per sempre alle 18.55 del 26 novembre 2010, il cellulare di Bossetti dalle 17.45 restava agganciato alla cella di Mapello. “Bossetti – sostengono gli avvocati – a distanza di un’ora e dieci potenzialmente sarebbe potuto essere in qualsiasi altro luogo“. La decisione di oggi del Tribunale di Brescia arriva dopo che una prima istanza di scarcerazione è stata respinta dal gip di Bergamo Ezia Maccora a metà settembre: “Persistono i gravi indizi di colpevolezza e il pericolo di reiterazione del reato”, aveva scritto il giudice per le indagini preliminari. “Non possiamo ancora pronunciarci, non conosciamo le motivazioni dei giudici di Brescia. Nei prossimi giorni, quando le leggeremo, valuteremo come muoverci” ha commentato Silvia Gazzetti, uno dei legali del muratore di Mapello.

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