Una degli evergreen della didattica degli ultimi lustri è la “didattica laboratoriale”. Approccio metodologico, didattico e pedagogico nella scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, dove la conoscenza difficilmente può essere separata dall’esperienza. Una sorta di must, per chi mastichi di scuola e voglia in qualche modo segnalare la propria attenzione – reale o presunta – nei confronti di un apprendimento attivo e collaborativo da parte degli studenti. Ma anche di un male interpretato concetto di modernità nel parlare di scuola. Per intenderci: non ho sentito un solo politico – tra coloro che indegnamente hanno rappresentato e rappresentano la scuola nello sconsolante panorama attuale – non parlare di “didattica laboratoriale”, anche nella scuola secondaria di II grado. Persino Maria Stella Gelmini aveva spesso in bocca questa formula.
Dico persino, perché 20mila insegnanti tecnico pratici (destinati per qualifica e classi di concorso esattamente all’attività laboratoriale) – un’enormità – vennero tagliati proprio dal ministro berlusconiano, artefice della famosa (contro)riforma: figura professionale dedicata completamente alla preparazione, pianificazione e valutazione delle esperienze pratiche di laboratorio, attività per la quale è richiesta una specifica formazione. Presenti in particolare negli istituti Tecnici e Professionali, questi insegnanti – spesso in compresenza con altri docenti, talvolta con insegnamenti indipendenti – hanno rappresentato soprattutto in quegli ordini di scuola una risorsa che, per una certa fase dell’istruzione italiana, ha dato frutti notevoli. Poi – in particolare a partire dal 2008 – la scuola ha cessato di essere oggetto di investimento e viatico di pari opportunità per tutti. In questo senso la riforma Gelmini attaccò particolarmente gli indirizzi più “deboli” (considerata l’utenza e la vocazione gentiliana del sistema italiano) dell’istruzione secondaria di II grado. Fu così che il modello di “razionalizzazione e semplificazione” cui il ministro disse di ispirarsi comportò – in concreto e tra le altre scelleratezze – quel taglio drastico anche di chi aveva una funzione fondamentale in quel settore, indebolendo ulteriormente la scuola del “saper fare” (sic!): il 60% delle ore di laboratorio vennero annullate con conseguente estinzione delle classi di concorso dei docenti ad essi preposti.
Una categoria professionale allo sbando, abbandonati dall’amministrazione scolastica e poi dai sindacati. Un repentino ed improvviso cambio delle carte in tavola mentre il gioco era già iniziato; docenti in esubero che hanno chiesto a gran voce una riqualificazione personale per sopravvivere al colpo di mano. La maggior parte di loro è confluita nella Dotazione Organica Provinciale (senza cattedra e senza sede) e da anni perfeziona strategie per una particolarissima lotta per la sopravvivenza, che li ha resi veri e propri Jolly, magari a 100 Km da casa, su due-tre scuole, con pochissime ore in ciascuna scuola, talvolta assegnati alla materia alternativa alla religione cattolica o a tappare i buchi di colleghi assenti. Come per i docenti inidonei, altra anomalia clamorosa del nostro sistema scolastico, si è tentato in passato con atti di imperio (provveditorato di Catania ed altri) di riconvertirli ad assistenti tecnici, con pronta reintegra nella qualifica contrattuale e giuridica da parte dei giudici del lavoro. Questo accade in un Paese che non ha rispetto del lavoro, delle competenze specifiche di ciascuno, della dignità degli individui. L’attesa dei corsi per la riconversione dura da 2 anni; un decreto del Direttore Generale del Miur (7/2012) ne disponeva l’attivazione; una sola università – la Suor Orsola Benincasa di Napoli – ha adempiuto, creando disparità di trattamento tra gli Itp campani e quelli di tutte le altre regioni.
Gli insegnanti tecnico pratici – inascoltati, inutilizzati, demansionati – hanno ottenuto che l’on. Silvia Chimienti (M5S) depositasse il 18 settembre una interrogazione parlamentare. In attesa di una risposta in una qualunque direzione, è stata aperta una pagina Facebook: ‘Io sto con gli Itp‘. Non altrettanto si può dire di Renzi. Nelle 136 pagine de La buona scuola ai proclami in didattichese smart (“affiancare al sapere il saper fare, partendo dai laboratori, perché permettere ai ragazzi di sperimentare e progettare con le proprie mani è il modo migliore per dimostrare che crediamo nelle loro capacità”, p. 8; “organizzare differentemente le lezioni con il personale che ha a disposizione, prevedere un potenziamento di ore in altre discipline, ovvero fare attività di laboratorio o altre attività extra-curricolari, nonché organizzare l’orario scolastico in modo flessibile”, p. 25; “affiancare al sapere il saper fare, partendo dai laboratori, perché permettere ai ragazzi di sperimentare e progettare con le proprie mani è il modo migliore per dimostrare che crediamo nelle loro capacità.”, p. 105 ecc) non ha trovato una sola occasione per citare gli insegnanti tecnico pratici.