Le comunità italiana e internazionale hanno reagito con rabbia e indignazione dopo aver appreso dell’impiccagione di Reyhaneh Jabbari. Dall’Italia il ministro degli Esteri Federica Mogherini ha espresso “un dolore profondissimo” dicendo che Reyhaneh è stata vittima due volte: “Prima del suo stupratore poi di un sistema che non ha ascoltato i tanti appelli”. La titolare della Farnesina ha ribadito che “la difesa dei diritti umani e l’abolizione della pena di morte sono battaglie fondamentali che l’Italia non rinuncerà mai a portare avanti in tutte le sedi”. Anche il premier Matteo Renzi si è unito nella lotta contro la pena capitale e ha chiesto alla platea della Leopolda un minuto di silenzio per ricordare la giovane. Il presidente della Camera Laura Boldrini ha espresso “dolore e sconcerto” per la decisione delle autorità giudiziarie iraniane che “considerano la violenza sessuale come un reato dal quale non sia legittimo difendersi con ogni possibile mezzo”. Boldrini ha commentato inoltre la situazione in cui versano le iraniane, poiché la vicenda della condanna “ci ricorda nel modo più drammatico che per le donne l’uguaglianza di fronte alla legge continua a essere lontana, e che il rispetto dei diritti umani, delle donne e degli uomini, deve rimanere valore centrale anche nelle relazioni internazionali”.
Amnesty international ha definito l’impiccagione “un’altra macchia sanguinosa” su Teheran. Il vice direttore di Amnesty per il Medioriente e il Nord Africa Hassiba Hadj Sahraoui ha puntato il dito sull”‘indagine profondamente difettosa” e sul fatto che “ancora una volta l’Iran ha insistito nell’applicare la pena di morte nonostante i dubbi sull’equità del processo”. E proprio sulla giustizia sommaria si sono sollevate le proteste degli iraniani che sui social media hanno pubblicato numerosi post e commenti di condanna della magistratura della Repubblica islamica e chiedendo l’abolizione della pena capitale. Anche su diversi siti d’opposizione come Iranpressnews e Peykeiran sono stati pubblicati vari interventi per condannare l’esecuzione, così come sono stati ospitati dai principali canali televisivi satellitari dell’opposizione all’estero.
Il presidente dell’associazione contro la pena di morte Nessuno tocchi Caino Sergio D’Elia si è espresso contro il regime e contro l’indifferenza della comunità mondiale per il rispetto dei diritti: “E’ l’ennesimo esempio di un regime spietato che presume di poter applicare norme, codici e precetti religiosi a fattispecie penali contemporanee. Per interessi economici e politici non si può dar credito all’Iran senza un minimo terreno comune sul rispetto dei diritti umani. E’ un’illusione che si possa trattare per la pace in quell’area del mondo senza chiedere il rispetto dei diritti fondamentali. Ci sono paesi a maggioranza musulmana che hanno abolito la pena di morte: è ovvio che l’Iran ne fa un uso politico“. Anche il portavoce dell‘Iran Human Rights Mahmoud Amiry Moghaddam ha detto che il regime di Rohani continua a “promuovere la cultura della violenza” ricordando che in Iran sono “migliaia quelli che sono vicini all’impiccagione”. E nonostante il volto riformatore del presidente, “da quando è stato eletto nel giugno 2013 vi è stata la media di esecuzioni più alta degli ultimi 20 anni”. La questione dei diritti umani dovrebbe dunque, conclude, essere posta sul tavolo di ogni trattativa internazionale con Teheran. “Ci sono serie preoccupazioni sull’equità del processo” è stata l’affermazione del portavoce del Dipartimento di Stato americano Jan Psaki che ha condannato il gesto in modo severo.