Un tentato omicidio e l’uccisione di un palestinese nell’arco di 24 ore. E’ di nuovo alta la tensione in Israele tra israeliani e palestinesi dopo che, mercoledì, un attentatore ancora ignoto ha cercato di uccidere a colpi di pistola Yehuda Glick, un rabbino sostenitore dell’estrema destra israeliana che si batte per la costruzione del 30esimo tempio nella Spianata delle Moschee. Giovedì, la polizia speciale israeliana ha fatto irruzione nella casa di Gerusalemme est del militante palestinese Muataz Hijazi, uccidendolo.
In città sono scoppiate subito tensioni quando l’agenzia di stampa palestinese Maan ha diffuso la notizia, citando fonti locali, che l’uomo sarebbe stato ferito dalla polizia che, poi, lo ha lasciato morire dissanguato all’interno della sua abitazione. Un’azione che, se venisse confermata, dimostrerebbe che si tratta di un omicidio per ritorsione da parte degli agenti israeliani. L’agenzia continua dicendo anche che i militari entrati in azione contro Hijazi avrebbero bloccato l’entrata alla sua abitazione, impedendo alle persone di soccorrerlo.
La tensione in città era salita già il giorno prima dell’uccisione del militante palestinese, quando all’uscita da un dibattito sulle rivendicazione ebraiche sulla Spianata delle Moschee, a cui partecipavano anche membri politici della destra nazionalista israeliana ed esponenti del governo di Benjamin Netanyahu, un uomo in motocicletta “dal chiaro accento arabo”, come ha testimoniato Moshe Feiglin, membro dell’ala oltranzista del Likud, si è avvicinato al rabbino e ha fatto fuoco ferendolo gravemente. Trasportato in ospedale, l’uomo è ancora sotto osservazione in gravi condizioni. Netanyahu ha subito ordinato la chiusura a oltranza della Spianata a musulmani ed ebrei, dopo esser venuto a conoscenza dell’attentato, ed è stata subito disposta la scorta per Feiglin. Glick è un personaggio molto in vista nell’ultranazionalismo israeliano e considerato un vero e proprio nemico dai militanti palestinesi, dopo che, in diverse occasioni, ha preso parte a raid con gruppi di coloni nella Spianata e, per questo, è stato più volte fermato dalla polizia israeliana.
Nella notte tra mercoledì e giovedì, poi, la polizia ha deciso di dare il via all’azione contro il militante palestinese, sospettato di essere uno degli organizzatori del tentato omicidio ai danni del rabbino di estrema destra. E’ stata la stessa radio militare israeliana a diffondere la notizia dell’uccisione dell’uomo specificando che, al momento dell’irruzione, era armato e ha opposto resistenza. Per questo motivo gli agenti sono stati costretti a sparare e a ucciderlo. A scatenare l’ira dei palestinesi residenti nella Città Santa è stata la notizia diffusa da Maan, secondo cui l’uomo sarebbe stato colpito, ma non ucciso sul colpo. L’attivista filo-palestinese, che si pensa facesse parte di un gruppo legato alla jihad islamica, perdeva molto sangue ma gli agenti, invece di soccorrerlo, avrebbero bloccato l’accesso alla sua abitazione, impedendo così alle persone accorse di aiutarlo, lasciandolo così morire dissanguato.
La decisione del premier israeliano di chiudere la Spianata delle moschee ha provocato la reazione del presidente palestinese, Abu Mazen: Questo provvedimento “farà salire ulteriormente la tensione in città – ha dichiarato il suo portavoce, Nabil Abu Rudeina – e creerà un’atmosfera negativa e pericolosa”. Ramallah giudica l’atto di Netanyahu una vera e propria “dichiarazione di guerra” nei confronti della popolazione palestinese e chiede l’intervento della Comunità Internazionale per porre un freno ai comportamenti del premier israeliano. La decisione del premier israeliano ha riscaldato ulteriormente gli animi tanto che, secondo quanto riportano media nazionali, già da venerdì mattina il luogo sacro sarà riaperto ai fedeli musulmani adulti. Le polemiche e gli scontri tra i due paesi si sono protratti, nelle ultime settimane, nonostante i dialoghi in corso. La decisione di Tel Aviv, lunedì, di annunciare la costruzione di 1.060 nuove case nei territori occupati aveva già scatenato il risentimento del governo palestinese e la reazione anche dei paesi europei e del grande alleato dello Stato ebraico, gli Stati Uniti, che ha definito i nuovi insediamenti “una minaccia rispetto al processo di pace con la Palestina”. Dure dichiarazioni anche dal nuovo Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini: una decisione “illegale”, che “solleverebbe nuovi dubbi sull’effettiva intenzione del Governo israeliano” sulla soluzione a due Stati.