Cinema

Interstellar, l’amore quinta dimensione dell’universo nel film di Nolan

È probabile farà incetta di nomination agli Oscar e –chissà – potrebbe pure toccare i cuori dei membri dell’Academy. Il regista di Memento e Inception sembra aver qui assecondato le coordinate del guilty pleasure hollywoodiano ancor più ostentatamente che con i suoi Batman movie. Nelle sale dal 6 novembre

di Anna Maria Pasetti

È assai probabile che attraverso un buco nero l’umanità troverà la sua salvezza. Ed è altrettanto verosimile che un giorno interpreteremo l’amore quale quinta dimensione ad interferire con la quadrimensionalità dell’universo. Per il momento, ciò che possiamo accertare a vision veduta, è che Interstellar di Christopher Nolan non entrerà nella Storia del cinema. Almeno non da capolavoro annunciato quale l’attesa smodata l’aveva prefigurato. Ed è un peccato, dato lo sforzo produttivo che l’ha sostenuto (un budget da 165 milioni di dollari) ma soprattutto l’indubbio talento di uno dei più visionari autori cinematografici contemporanei. Con alcune riserve per The Prestige (2006), la filmografia del regista londinese ha conosciuto un crescendo dall’opera seconda Memento (2000) fino all’immaginifico thriller Inception (2010), passando per i solidi tre capitoli della Batman saga.

Interstellar doveva essere uno degli apici della sua maturità autoriale, e forse anche per tal motivo Nolan ne è rimasto attratto (e imbrigliato) come dentro a un’anomalia gravitazionale di fatale intensità. Come qualcuno ha ironicamente osservato, delle cinque dimensioni che fondano gli aspetti concettuali del film, la più evidente è quella temporale, ovvero della sua durata (168’) che nulla sarebbe se l’opera godesse degli equilibri narrativi e drammaturgici che ci si attendeva. Appesantito da un prologo di circa tre quarti d’ora, Interstellar “decolla” in ogni senso quando l’astronave Endurance prende il largo nello spazio. L’attimo coincide con la sospensione di giudizio critico: la maestosità restituita dalle riprese combinate del formato anamorfico 35mm con i 70mm IMAX offro ragioni per iniziare a formulare pensieri e confronti con la cine-fantascienza maiuscola, dal recente capolavoro Gravity al caposaldo metafisico di Stanley Kubrick del 1968, quando Chris Nolan ancora non era nato, passando per Solaris, scritto da Lem nel ’61 e divenuto film nel 1972 grazie a Tarkovskij e nel 2002 a Soderbergh: pensieri e confronti che il resto del film smentiranno.

Il corredo sonoro contribuisce alla rapida empatia, assecondando i desideri dichiarati del regista: il 95% del film è un’altisonante sinfonia d’ibridazioni prodotta dalla star di colonne sonore Hans Zimmer, che trova pace solo in quel magnifico 5% di totale assenza di suono, laddove esso non è scientificamente possibile in assenza di atmosfera. L’equipaggio della Endurance – formato da Eroi con tante macchie&paure alla scoperta di un nuovo mondo da offrire all’umanità che sta morendo di fame e polvere sulla Terra – è guidato dal pilota ingegnere prestato all’agricoltura Cooper – Matthew McConaughey e dall’astrofisica Amelia Brand interpretata da Anne Hathaway: questi fanno seriosamente il verso ai Guardiani delle Galassie, essendo il robot TARS la loro unica fonte di umorismo. Ma evidentemente per Nolan conta che i suoi personaggi diventino il più possibile delle “funzioni”, riducendo loro la caratura dimensionale rispetto a quella degli universi che vanno ad esplorare.

L’unico vero rapporto interessante – e alla fine cuore significante del film – è quello tra Copper e la figlia Murph, che vediamo nel suo transitare dai 10 anni ai 33, quando assume le sembianze di Jessica Chastain. Dopo aver attraversato il sensuale wormhole per approdare su pianeti dalle onde gigantesche (magnifiche queste scene) e dalle superfici surreali (adattate sul set islandese dell’immenso ghiacciaio Vatnajökull) in cui “i nostri” comprendono le falle teoriche del professor Brand (Michael Caine), Interstellar giunge al suo punto nevralgico, e purtroppo più enfaticamente roboante. Il Tempo stringe, l’umanità è a pezzi, ma ogni minuto nell’intergalassia equivale a decenni terrestri: serve un Sacrificio che nessuno meglio di un padre può assumere sulle proprie spalle. A questo punto, tralasciando giustamente gli sviluppi del plot, emergono echi da Matrix quando il “tesseratto” (ipercubo) trova la sua fulgida rappresentazione, ma soprattutto dalle stesse ossessioni onirico-metafisiche di Nolan, la cui creatività in tal senso ha trovato la sua miglior espressione nelle immagini/specchio di Inception. In quel film, va detto, mancava l’apporto sentimentale e di profonda umanità che muove l’intero “fracasso” di Interstellar: una storia straordinaria ed emozionante purtroppo trasformata in un’opera più attesa che riuscita. È probabile farà incetta di nomination agli Oscar e –chissà – potrebbe pure toccare i cuori dei membri dell’Academy: d’altra parte Chris Nolan sembra aver qui assecondato le coordinate del guilty pleasure hollywoodiano ancor più ostentatamente che con i suoi Batman movie. Nelle sale dal 6 novembre.

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