Google è “un motore del privilegio” e come tale deve pagare i diritti d’autore agli editori. La presa di posizione di Maurizio Costa, presidente della Federazione degli editori di quotidiani riapre il “caso Google” dopo la polemica dello scorso anno. Il deputato del Pd, Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera, proponeva che la società di Larry Page e Sergey Brin pagasse le tasse sui suoi utili in Italia e non in Irlanda dove ha la sede legale. Ma Matteo Renzi impedì che quella proposta si realizzasse. Ora, ad attaccare Google, si muovono gli editori di giornali anche se la mossa della Fieg punta ad altro: “Chiediamo solo che paghi il giusto chi utilizza contenuti editoriali di proprietà di altri” dice Costa in un’intervista a Repubblica. “È ora che questo gigante come qualsiasi aggregatore di notizie di Internet, riconosca il diritto d’autore per gli articoli, le foto, i video linkabili da Google News”.

La mossa è inedita. Finora gli editori italiani non si erano spinti fino a questo punto e in Europa l’esempio più avanzato resta quello francese dove, grazie alla pressione del governo e al ruolo avuto dalla presidenza Hollande, lo scorso anno è stato siglato un accordo a tre – editori, Google, esecutivo – che ha obbligato il motore di ricerca a versare 60 milioni di euro per lo sviluppo dell’attività digitale degli editori. “A noi l’idea di questa una tantum, di un condono tombale, non piace” precisa il presidente Fieg. “Chiediamo si paghi in modo trasparente e con continuità”.

La richiesta si basa sull’andamento del mercato editoriale. I giornali italiani vendevano circa 6 milioni di copie al giorno nel 2000 mentre nel 2013 sono arrivati a 3,7. Un dissanguamento progressivo che sta bruciando posti di lavoro, riducendo spazi e mettendo in seria difficoltà i piani di sviluppo delle imprese. Al contempo, nonostante la crescita dell’informazione online – che riguarda ormai lo stesso numero di lettori giornalieri – i ricavi delle società editoriali dipendono al 94% dal settore cartaceo. La contraddizione è evidente. Anche per il sindacato che, infatti, con il segretario di Stampa romana, Paolo Butturini, plaude all’intervento di Costa che “ha centrato il problema” anche se, aggiunge Butturini, “omette di dire che in questi anni gli editori non hanno fatto altro che lavorare sulla compressione del costo del lavoro, con l’ovvio riflesso dello scadimento dell’informazione”. Per il sindacalista vanno quindi “rimossi atteggiamenti vendicativi nei confronti dei giornalisti e, soprattutto, si deve puntare all’innovazione, che significa investimenti a medio e lungo periodo”, in questa prospettiva si può accettare “la sfida del cambiamento”.

La risposta di Google, però, non invita all’ottimismo. La nota che la società Usa dirama nel pomeriggio ricorda, infatti, che il colosso americano “invia ogni mese 10 miliardi di clic agli editori di tutto il mondo e che riceviamo di gran lunga più richieste di essere inclusi in Google News che non di essere esclusi”. Inoltre, aggiunge la società, “attraverso il programma AdSense, nel 2013 abbiamo ridistribuito 9 miliardi di dollari agli editori di tutto il mondo, una cifra in crescita di 2 miliardi rispetto al 2012”. Il messaggio è chiaro: noi vi aiutiamo già e senza di noi ci rimettereste certamente. Quindi, nessuna disponibilità a nuovi accordi.

I problemi non sono di facile soluzione. I 9 miliardi cui si riferisce Google sono quelli prodotti dal programma AdSense tramite cui il motore di ricerca, come una specie di concessionaria, trasferisce le inserzioni a pagamento sui siti che ne fanno espressamente richiesta. Quella cifra, quindi, non rappresenta un compenso per i contenuti utilizzati. Allo stesso tempo, è anche vero che Google News funziona come una sorta di rassegna stampa che, per la lettura degli articoli, rinvia ai siti di provenienza. Quindi c’è un effettivo smistamento di traffico.

“In realtà”, spiega a Il Fatto Quotidiano Stefano Quintarelli, uno dei massimi esperti del settore, oggi deputato di Scelta Civica, ci sarebbe un reciproco vantaggio da sfruttare. Invece di denaro, ad esempio, gli editori potrebbero sfruttare il lavoro di “profilazione” del cliente svolto da Google e che potrebbe essere loro riversato”. Ma anche secondo l’esperto di Internet, non esiste “la” soluzione quanto, invece, un monitoraggio della trasformazione in corso. Resta comunque l’ipotesi “google tax”: “Stavolta non la propongo” dice Boccia, “ma se il governo vuole la si fa in un attimo”.

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