L’incontro che per Matteo Renzi doveva essere definitivo non lo sarà. Perché l’annunciato accordo raggiunto con Silvio Berlusconi sulla riforma delle legge elettorale lascia aperte due questioni (soglia di sbarramento e premio di maggioranza alla lista invece che alla coalizione) su cui Forza Italia non ha mollato di un millimetro. Nonostante gli ultimatum del premier. Ergo: ci sarà ancora da trattare. Il che dimostra essenzialmente due cose: che l’ex Cavaliere ha seguito le indicazioni emerse nell’Ufficio di presidenza di Fi (dialogare, non strappare, ma no ai diktat: ovvero, la linea Fitto); e, soprattutto, che il leader del Pd ieri aveva ragione quando a Porta a Porta ha dichiarato che il problema, per lui, “non è Berlusconi, ma i Fitto e i Brunetta”. Sì, perché il nuovo corso interno di Forza Italia – con l’investitura dell’ex governatore pugliese – per Renzi è un bastone tra le ruote che rischia di rovinargli – e non di poco – il progetto e i tempi dell’Italicum, almeno per come lo aveva pensato lui (soglia di sbarramento rafforzata e premio alla lista). Ora, invece, ci sarà ancora da trattare, limare, studiare strategie. L’intesa, infatti, riguarda solo il premio di maggioranza al 40% e l’introduzione delle preferenze dopo il capolista bloccato nei 100 collegi. Per il resto, l’unico accordo è di andare d’accordo. Su cosa non si sa. Altro che svolta, altro che “scatto in salita” (Renzi dixit). E altro che apertura ai 5 Stelle. Perché Renzi – e quella di oggi è solo l’ultima conferma – ha così bisogno di Berlusconi (e viceversa) da accettare i cambi di rotta interni a Forza Italia. Una “intesa di sistema” la definiscono in ambienti vicini all’ex premier, che lascia parte strategicamente una serie di partite oggi per non chiuderne altre domani, come ad esempio quella sul Quirinale. L’unica vittoria (di Pirro) per il capo del governo è di ordine cronologico. E riguarda i tempi di lavoro. Lo si intuisce nella nota congiunta diffusa da Pd e Fi al termine delle due ore di faccia a faccia (l’ottavo) tenutosi a Palazzo Chigi: “Concludere i lavori in aula al Senato dell’Italicum entro il mese di dicembre e della riforma costituzionale entro gennaio 2015”. Tradotto: il testo passa così a Palazzo Madama, ma poi alla Camera rischia di essere cambiato. Di nuovo. Tranne che per i due capitoletti su cui c’è la controfirma di Berlusconi.

I fittiani festeggiano: “Non siamo la stampella di Renzi” – Prima del timing, però, chi ha redatto il documento è strato costretto a sottolineare anche altro: “Le differenze registrate sulla soglia minima di ingresso” dalla riforma della legge elettorale “e sulla attribuzione del premio di maggioranza alla lista, anziché alla coalizione, non impediscono di considerare positivo il lavoro fin qui svolto”. Per la serie: non siamo d’accordo, ma vogliamo stare insieme. Un capolavoro di equilibrismo, che però non nasconde le difficoltà. Sparite nel nulla, del resto, le modifiche unilaterali partorite nell’incontro di due giorni fa tra Pd e partiti di maggioranza. Un summit che, di fatto, è andato di traverso al segretario dem. Perché ha provocato la reazione di Forza Italia e il cambio di rotta di Berlusconi, che ha deciso di sposare la “schiena dritta” proposta dall’anima fittiana del partito. Che del resto ora festeggia. “Dall’incontro emerge la funzione collaborativa e critica di un partito come Forza Italia, forte della sua ritrovata unità di intenti e terapie” ha detto Francesco Paolo Sisto. Che poi ha declinato i termini della vittoria: “Aver concordato con Renzi solo parte delle sue proposte, come l’innalzamento della percentuale utile per il premio di maggioranza e il ripristino delle preferenze, salvo che per i capilista, nei 100 collegi, è perfettamente in linea con il senso di responsabilità istituzionale che ha caratterizzato il patto del Nazareno“. Per il presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera, infatti, Pd e Forza Italia sono ” contraenti alla pari, in grado di esprimere autonomamente il proprio pensiero, come accaduto per il premio al partito anziché alla coalizione e la modifica delle soglie di accesso al Parlamento”. Poi il messaggio finale: “Chi avesse per un solo attimo ipotizzato che Forza Italia fosse passiva stampella del governo Renzi ha avuto quello che si meritava”.

Minoranza Pd: “Non si voti ratifica del Patto del Nazareno” – Parole non positive per le orecchie del premier, che ha dovuto anche prendere atto di ciò che avviene all’interno del suo partito. “Faccio una proposta a Renzi: la prossima volta ci porti Silvio Berlusconi e Denis Verdini in Direzione Pd così siamo pari”. La provocazione è firmata da Pippo Civati. Che arrivando alla sede del Partito democratico in via del Nazareno ha anche rincarato la dose: “Mi domando che spazi ci possono essere ancora nel Pd se tanto le decisioni sono già prese altrove. Renzi tanto può contare su una maggioranza monolitica che lo sostiene”. D’Alema e Bersani, invece, hanno convocato una pre-riunione della minoranza dem per definire una posizione unitaria da assumere in direzione sui temi principali sul tavolo, dalla legge elettorale al Jobs act. Al termine dell’incontro è stata ribadita “la netta contrarietà al modello elettorale proposto” nell’incontro Renzi-Berlusconi per quanto riguarda l’aspetto dei cento capilista bloccati. “Non si può sottrarre ai cittadini la scelta dei parlamentari che la Consulta gli ha restituito” ha detto Alfredo D’Attorre. Che poi – in linea con la posizone unitaria della minoranza dem – ha chiesto alla direzione di non votare la ratifica del patto del Nazareno. “Spero che non si arrivi al voto – ha detto – Non si può utilizzare la direzione per ratificare l’accordo con Berlusconi. Casomai la direzione bisognava farla prima. Non si può utilizzare una direzione notturna per un voto così”. 


video di Irene Buscemi

Renzi: “Non ho bisogno del mandato della direzione” – Una presa di posizione a cui il premier ha immediatamente risposto all’inizio del suo intervento. “Non credo di aver bisogno di un mandato esplicito della direzione” sulle modifiche alla legge elettorale, “perché credo che la legge che sta emergendo garantisce a mio giudizio tutti gli obiettivi che ci eravamo dati”. E in tal senso il segretario del Pd è tornato sulla questione soglia di sbarramento legata al premio di maggioranza alla lista. Per Renzi, infatti, le due cose vanno insieme: con una soglia bassa (3%) il premio deve andare obbligatoriamente alla lista e non alla coalizione, perché solo così “si garantisce la governabilità”. “Sulla soglia di sbarramento si è aperta una discussione – ha detto il segretario del Pd – Noi abbiamo detto che bisognava impedire ai piccoli il potere di veto ma se dai il premio alla lista il potere di veto non è più sulla governabilità. Non è un tributo ai piccoli ma un concetto logico”. Un credo che, però, va contro l’idea portata avanti da Forza Italia (premio alla coalizione). E su cui si dovrà giocoforza trattare ancora. Senza diktat. E Renzi lo ha ammesso. “Sul tema del premio di maggioranza alla lista c’è qualche perplessità di Forza Italia, che rispettiamo” ha sottolineato il capo del governo, che poi ha annunciato: “Con Berlusconi siamo d’accordo che se in sede di voto non su tutto saremo d’accordo, andremo comunque avanti consapevoli che questa legge elettorale consente governabilità e rappresentanza”. E alla fine, su proposta del presidente Orfini, la direzione del Pd ha deciso di non votare la road map delle riforme.

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