Entrambi sterili erano riusciti a diventare genitori grazie alla maternità surrogata. Ma ora quel figlio “comprato” in Ucraina, che ora ha tre anni, verrà affidato a un’altra famiglia. La Cassazione sbarra il passo alla pratica della maternità surrogata e alla possibilità che i figli nati all’estero con questo tipo di ‘accordi’ possano essere riconosciuti legittimamente anche in Italia. Una coppia di Brescia ha infatti perso la prima causa approdata alla Suprema Corte e tesa al riconoscimento di un figlio nato in Ucraina da una madre surrogata che si era resa disponibile a soddisfare il desiderio di genitorialità di marito e moglie.

Per effetto di questa decisione ‘pilota’, è stato dato in adozione, con il via libero definitivo degli ermellini, il piccolo ‘Tommaso’ nato nel 2011 da una madre surrogata su “committenza” dei coniugi oggi cinquantenni di Brescia che non potevano avere figli e ai quali, per tre volte era stata respinta la richiesta di adottare in Italia. Ad avviso dei supremi giudici, l’Italia non riconosce la pratica della “fecondazione extracorporea” e, quindi, quel piccolo è come se fosse figlio di nessuno e occorre trovargli una famiglia dato che la coppia ha cercato di mentire sulla sua nascita.

Ai due coniugi oggi cinquantenni di Brescia che non potevano avere figli e ai quali, per tre volte era stata respinta la richiesta di adottare in Italia

Di diverso avviso invece è stata la Procura generale della Cassazione rappresentata da Francesca Cerioni che aveva chiesto la revoca dello stato di adottabilità e la ‘restituzione’ di Tommaso a quelli che si erano spacciati per i suoi veri genitori e che al loro rientro dall’Ucraina erano stati ‘scoperti’ e denunciati per frode anagrafica. Dalle indagini era subito emerso che né il marito né la moglie erano in grado di procreare.

La coppia alle strette ammise di aver avuto quel bambino in Ucraina da una madre ‘in affitto’ che una volta partorito non aveva voluto che il suo nome figurasse sul certificato di nascita del bebè e dunque, adesso, non è nemmeno rintracciabile. Fatto sta che questa vicenda non è in regola nemmeno con la legge Ucraina che prevede che almeno il 50% del patrimonio genetico appartenga alla coppia “committente” e che gli ovociti non siano della gestante. Comunque il parere della Suprema Corte non sarebbe cambiato data la totale contrarietà giuridica a questo tipo di “committenza”. Senza successo, marito e moglie hanno chiesto alla Cassazione di lasciargli il bambino sostenendo che i tempi sono maturi perché l’Italia provveda a “individuare i valori condivisi dalla comunità internazionale armonizzandoli con il sistema interno”. I giudici – con la sentenza 24001, presidente Gabriella Luccioli, relatore Carlo De Chiara – hanno replicato, pur riconoscendo che il Consiglio d’Europa su questo tema lascia i Paesi membri abbastanza liberi di darsi regole, che “l’ordinamento italiano, per il quale la madre è colei che partorisce, contiene un espresso divieto, rafforzato da sanzione penale, della surrogazione di maternità, ossia della pratica secondo cui una donna si presta ad avere una gravidanza e a partorire un figlio per un’altra donna”.

I giudici: “L’ordinamento italiano contiene un espresso divieto, rafforzato da sanzione penale, della surrogazione di maternità

Questo divieto – prosegue il verdetto – non è stato “travolto dalla declaratoria di illegittimità costituzionale parziale dell’analogo divieto di fecondazione eterologa, pronunciato dalla Consulta con la recente sentenza 162 del 2014”. Ed è posto “a presidio di beni giuridici fondamentali”, quali “la dignità umana, costituzionalmente tutelata, della gestante e l’istituto dell’adozione, con il quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto perché soltanto a tale istituto, governato da regole particolari poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori, e non al mero accordo delle parti, l’ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato”.

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