Tra l’ad di Mediobanca, Alberto Nagel e Salvatore Ligresti ci fu una “trattativa” per garantire l’uscita di scena della famiglia del costruttore siciliano dal gruppo Premafin-FondiariaSai in cambio di una ricca buonuscita di circa 45 milioni di euro. Trattativa tenuta segreta dai due che “consapevolmente” ostacolarono “la funzione di vigilanza della Consob”. Era l’estate del 2012 quando scoppiò il caso e oggi, venerdì 14 novembre, il pm di Milano Luigi Orsi ha chiuso le indagini.
In questi anni il procuratore ha ricostruito come a partire dal gennaio 2012 era in corso “una trattativa tra la famiglia Ligresti, le principali banche creditrici (tra le quali Mediobanca) e la Unipol, finalizzata a realizzare l’ingresso – si legge nell’avviso di conclusione indagini – di quest’ultima nel capitale sociale di Premafin e quindi Fondiaria Sai”. E così il 28 gennaio Premafin e Unipol “siglavano un accordo che prevedeva l’ingresso di quest’ultima nel capitale della prima mediante l’aumento di capitale riservato alla Unipol”. Intesa che “superava il precedente accordo tra la famiglia Ligresti e Unipol, siglato il 12 gennaio, in virtù del quale i Ligresti avrebbero ceduto il 30% del capitale di Premafin a Unipol ricevendo in pagamento il prezzo della detta quota azionaria“.
E’ in questa situazione, “nella quale il salvataggio del gruppo Premafin Fondiaria Sai era rappresentato come operazione dalla quale la famiglia Ligresti non avrebbe ricevuto alcun beneficio economico” che il 17 maggio 2012 “Nagel e Ligresti siglavano un documento manoscritto (il famoso papello, ndr) intestato ‘accordi tra famiglia e Nagel, Pagliaro, Cimbri, Ghizzoni (rispettivamente presidente di Mediobanca, ad di Unipol e ad di un altro creditore dei Ligresti, Unicredit, ndr)”. Nel manoscritto acquisito agli atti c’era l’elenco di tutti i benefit riservati alla famiglia del costruttore oltre a una buonuscita di 45 milioni di euro netti per il 30% di Premafin. Quindi nell’accordo rientravano “700mila euro all’anno per 5 anni a testa, J (Jonella) buonuscita per la carica, G (Giulia) buonuscita + consulenza in Compagnie Monegasque, P. (Paolo) buonuscita o mantenimento della dirigenza nella società svizzera, Ing (Salvatore Ligresti) contratto con Hines, uso gratuito per cinque anni degli uffici Milano Locatelli e Repubblica e Roma in piazza di Spagna, segreterie attuali, autisti attuali, foresterie Milano e Roma, auto attualmente utilizzate, affitto per cinque anni appartamenti al Tanka, fondazione Giulia con attuale dotazione, uso Cesarina e Cascina di Milano”.
Un patto segreto che Mediobanca aveva inizialmente smentito e sulla cui esistenza la Procura ha iniziato a indagare da quando la figlia di Ligresti, Jonella, aveva portato agli inquirenti la registrazione effettuata di nascosto di una sua conversazione con l’avvocato Cristina Rossello, segretaria del patto di sindacato di Mediobanca, che aveva in custodia il papello che “non era comunicato alla vigilanza di mercato e anzi era tenuto nascosto”. Adesso le difese degli indagati avranno 20 giorni di tempo per farsi interrogare o depositare memorie difensive. Da questa storia, almeno allo stato e all’apparenza, resta fuori Mediobanca. Che in base alla legge 231, sulla responsabilità amministrativa, avrebbe potuto rispondere di quanto accaduto intorno al pasticcio del papello e, quindi, dell’ostacolo alla funzione di vigilanza della Consob. Piazzetta Cuccia, dal canto suo, resta fedele alla seconda versione di Nagel sulla vicenda. Dopo aver inizialmente negato l’esistenza stessa del documento, il banchiere aveva ammesso di averlo firmato, ma solo per “presa di conoscenza e pietà” nei confronti di Ligresti. E così oggi l’istituto fa presente che il papello non lo riguarda e che né Nagel né la banca potevano impegnarsi a fornire quanto scritto nel foglio perché non erano asset a disposizione di Mediobanca, ma di Unicredit o di Unipol. Peraltro, ribadiscono, tutte le richieste contenute nel papello non solo non erano attuali, ma non hanno nemmeno avuto seguito.