Cambia il senso, ma non il risultato: in Italia il merito come criterio di selezione resta ancora un’utopia. Questo è ciò che emerge dal concorso nazionale per l’ammissione alle scuole di specialità dei giovani medici. Quelli che in futuro avranno in mano e in carico la nostra salute.
In luglio, il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini ha firmato il decreto che sanciva il passaggio dai concorsi locali ad uno a livello nazionale: prova scritta telematica su 130 quesiti a risposta multipla. Questa procedura, spiegava il ministero, avrebbe garantito massima sicurezza nella fase di svolgimento, e avrebbe impedito le ormai assodate logiche clientelari che i ben noti “baroni” universitari mettevano in atto per selezionare i giovani medici. I propositi erano certamente buoni. Ma la realtà, come troppo spesso accade nel nostro Paese, si è rivelata più complessa e problematica rispetto alle idee originarie. Idee che non si è voluto o saputo saper applicare in concreto.
I candidati che sono arrivati nelle circa 442 aule dove si è svolto il test, sparse in giro per tutta Italia, si sono trovati di fronte a scene sorprendenti. Facciamo qualche esempio che mi è stato riferito personalmente da alcuni candidati: in alcune sedi, contrariamente a quanto indicato dal bando, è stato permesso di non consegnare il proprio telefono cellulare; le postazioni in alcune aule distavano non più di 10 cm ed era possibile per la maggior parte dei candidati leggere chiaramente il test delle persone circostanti. La sorveglianza, poi, era in mano a personale pubblico non ufficiale ed è stata pressoché inesistente.
Ai candidati è stata data la possibilità di scegliere la postazione da occupare, anche qui in disaccordo con il bando pubblico. Era possibile quindi occupare la postazione adiacente a quella di un amico o conoscente e svolgere gran parte del test in “equipe”, cosa che ha portato ad una notevole variabilità delle medie dei risultati, direttamente proporzionale alla densità di concorrenti all’interno delle singole aule: più erano affollate, più i voti sono stati in media elevati.
Finita qui? No, in alcune aule, secondo quanto mi riferiscono, si sono verificati black-out o guasti ai computer, con differenti scelte da parte delle Commissioni: far ripetere la prova al singolo candidato o a tutta l’aula. Dopo ore in cui i candidati hanno potuto confrontarsi e migliorare quindi i propri punteggi. Come assurda ciliegina sulla torta, in alcune aule i computer erano addirittura collegati alla rete!
Non paghi di tutto ciò al Cineca, il consorzio che ha organizzato il concorso, hanno erroneamente invertito le prove per la specialità di area medica e dei servizi clinici. Di conseguenza il Miur ha prima stabilito di annullare e ripetere solo le prove oggetto dell’errore, salvo poi rimangiarsi la parola e dichiarare le prove erano state sì scambiate, ma che potevano essere considerate comunque valide.
Che senso aveva allora la divisione a monte? Soluzione formale trovata, per il ministero. Ma sul concorso di specializzazione a Medicina si rischia l’arrivo di una valanga di ricorsi. È vero che l’Italia è il Paese dove spesso vince il più furbo e dove le regole si dettano ma non si rispettano: ma vogliamo davvero che la classe medica futura, quella che ci curerà fra qualche anno, sia scelta in tale maniera? Una cosa è certa: non chiediamo un parere al ministro della Salute che è giunta a quel dicastero senza nemmeno entrare in università!