Dopo l’inchiesta per corruzione, il deputato dem Marco Di Stefano, viene scaricato dal suo partito. Non solo il Pd lo lascia senza tavolo alla cena romana di finanziamento di Matteo Renzi del 7 novembre, invitandolo il giorno dopo, a sospendersi dal gruppo parlamentare di Montecitorio per evitare imbarazzi, ma anche il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, decide di mantenere le distanze da Di Stefano. La Regione si costituirà parte civile in caso di processo sulla presunta tangente di 1,8 milioni versata al parlamentare per l’affitto degli immobili a Lazio Service.
Da poliziotto a deputato, la carriera di Di Stefano colleziona veloci cambi di casacca e molti incarichi. Prima di cadere nell’oblio, ha fatto giusto in tempo a partecipare all’ultima Leopolda del 25 ottobre, coordinando un tavolo di lavoro sui pagamenti digitali. E’ stato invitato dallo staff organizzativo del ministro per le riforme e i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, madrina dell’evento renziano. Considerato un “mister preferenze”, fu fondamentale per la vittoria di Pietro Marrazzo alla presidenza della regione Lazio.
Portò in dote, in quell’occasione, 14mila voti. Ora però, il parlamentare, trasmigrato dall’Udc al centro sinistra, grazie alla regia di Walter Veltroni, è più isolato che mai, perché deve fare i conti con la giustizia: secondo la procura di Roma avrebbe intascato una maxi tangente da un milione e 800 mila euro dai costruttori romani della famiglia Pulcini. L’indagine riguarda la vendita degli immobili dell’Enpam a una società riconducibile agli imprenditori romani, con una plusvalenza di 53 milioni di euro, il 50 per cento del reale valore. I magistrati romani contestano a Di Stefano una mazzetta presa quando era assessore al Demanio, Patrimonio e Personale della giunta Marrazzo, per l’affitto a Lazio Service, società controllata della Regione, di due edifici di proprietà dei Pulcini al prezzo di oltre 7 milioni di euro l’anno.
Il giallo del collaboratore – Antonio e Daniele Pulcini, secondo l’accusa, avrebbero versato una tangente di 300 mila euro anche al braccio destro di Di Stefano, Alfredo Guagnelli, di cui si sono perse le tracce dal 2009. Di Guagnelli si occupò nel 2011 la trasmissione Chi l’ha visto? e si scoprì che il giorno della sua scomparsa s’incontrò con Di Stefano nei pressi della Regione Lazio. Da qui si aggiungono nuovi particolari alla vicenda. Un testimone racconta al quotidiano Libero che l’uomo di fiducia di Di Stefano, prima di sparire nel nulla, sarebbe partito per Montecarlo per recuperare una somma di denaro in contanti: banconote da 500 euro per un totale di 2 milioni. Cifra che si avvicina alla tangente contestata al parlamentare del partito democratico. Proprio da Montecarlo, secondo gli investigatori, i Pulcini avrebbero condotto in Italia documenti e “valuta”. Guagnelli – continua il testimone – viaggiava molto, amava la bella vita, offriva viaggi e forniva donne e auto a politici tra cui Di Stefano.
L’ex poliziotto – Ex poliziotto, cresciuto nel quartiere Aurelio di Roma, inizia la sua carriera politica come consigliere comunali della Capitale nel ’97 in sella al Ccd (Centro cristiano democratico). Riconfermato nel 2001, si occupa di trasporti e ambiente. Nel 2003 diventa segretario provinciale dell’appena nato Udc di Pierferdinando Casini. Da qui in poi, Di Stefano cambia diverse volte partito. Nel 2005, prima di candidarsi alla Regione Lazio, dopo un’operazione di scouting, il cui regista era l’allora sindaco Walter Vetroni, lascia l’Udc per approdare al centrosinistra: viene eletto con la lista civica per Marrazzo con oltre 14mila preferenze. Un pacchetto di voti, ritenuti fondamentali per la vittoria di Marrazzo che, lo nomina assessore al Demanio e Patrimonio. Nel 2007 Di Stefano cambia nuovamente casacca ed entra nell’Udeur- popolari di Clemente Mastella. Ma un anno dopo, nel 2008, ci ripensa e rientra nei ranghi del Pd.
Mister 16mila voti – Con lui si assiste all’assunzione, senza concorso, di 900 precari di Lazio Service, società regionale creata nel 2005 dall’ex governatore Francesco Storace. Nel 2010 si ricandida in Regione, raccogliendo questa volta 16mila voti. Nonostante la sua presenza fosse guardata con sospetto dagli esponenti del Pd della prima ora, per i suoi numerosi salti della quaglia, è l’uomo giusto per il partito per guidare la Commissione speciale federalismo fiscale e Roma Capitale. Un organismo considerato inutile e costoso che, infatti, viene sciolto in seguito allo scandalo Fiorito sui rimborsi regionali.
Primarie e imbrogli – Nel 2013 partecipa alle primarie per la Camera dei deputati. È il primo dei non eletti. Ed è proprio poco dopo le primarie, in un’intercettazione telefonica di gennaio riportata dal Messaggero, che annuncia “la guerra nucleare a partire da Zingaretti, li tiro dentro tutti. Sono dei maiali. (…) Ho fatto le primarie con gli imbrogli, no? Non è che so’ imbrogli finti….” E poi la minaccia: “Se imbarcamo tutti, ricominciamo dai fondi dei gruppi regionali. Sansone con tutti i filistei, casco io, ma pure gli altri”. Le ire di Di Stefano si placano solo ad agosto di quest’anno quando Marta Leonori viene nominata assessore dal sindaco di Roma Ignazio Marino, liberando il posto alla Camera. Da maggio per Di Stefano è scattato anche il vitalizio.