Un passo avanti e un altro indietro. Il governo di
Matteo Renzi ha appena inviato a Bruxelles la
Strategia italiana banda larga, stando alla quale entro il 2020 l’85% degli italiani dovrà avere una
connessione a Internet di almeno 100 Megabit al secondo e agli altri dovranno essere garantiti servizi con una velocità non inferiore a 30 Megabit in fase di download. Questo grazie a “
6 miliardi di euro di
investimenti pubblici che si vanno a sommare a
2 miliardi di investimenti privati”. Ma nel frattempo
Asstel, l’associazione che rappresenta il settore delle telecomunicazioni, lamenta che
il testo dello Sblocca Italia convertito in legge lo scorso 5 novembre è stato talmente modificato
nella parte sugli sgravi per gli investimenti in reti a banda larga che si rivelerà “quasi sicuramente un flop”. Parola del presidente
Cesare Avenia, che in un’intervista ad
Affari&finanza denuncia: “Così si bloccano 6 miliardi di investimenti (
il totale messo sul piatto in Italia nel 2013, ndr) che le telco, soprattutto gli operatori mobili ma anche quelli di rete fissa, si apprestavano ad attivare per accelerare sulla banda larga”. Altro che “Sblocca”.
Insomma: secondo l’industria delle reti, gli installatori di impianti e le società di telecomunicazione, le correzioni fatte dai relatori e quelle introdotte con gli emendamenti rendono del tutto
inefficaci gli incentivi che, nelle intenzioni del governo, avrebbero dovuto contribuire a colmare
il “divario digitale” che separa l’Italia dagli altri Paesi Ue. I precedenti:
l’articolo 6 del decreto su cantieri e infrastrutture presentato il 29 agosto prevedeva, nella
prima versione (condita di per sé da una notevole confusione sulle cifre), un credito di imposta del 50% sugli investimenti nelle cosiddette
aree bianche o “a
fallimento di mercato”, cioè quelle dove, in mancanza di sgravi, l’investimento privato non è
redditizio e quindi non viene fatto. A valle dell’iter parlamentare, però, quel 50% è diventato un “tetto massimo” (e non è chiaro chi decida la percentuale effettiva), sono spuntati nuovi e
poco chiari criteri per calcolare il grado di copertura degli utenti e gli enti locali hanno solo la “
facoltà” (prima era un obbligo) di eliminare
oneri aggiuntivi come la tassa per l’
occupazione di suolo pubblico. In più lo sgravio varrà solo per la costruzione e posa delle condotte con i cavi e non per l’ultima porzione di rete, quella che arriva effettivamente nelle case. Un punto che, secondo Asstel, avvantaggia solo
Infratel, società pubblica che è “soggetto attuatore” del Piano nazionale banda larga e si occupa appunto di coordinare la posa dei cavi.
Nelle 15 città maggiori rete a 100 Megabit entro il 2020. Ma 4.300 Comuni possono sperare nei 30 Megabit solo con incentivi pubblici a fondo perduto
Quanto ai contenuti della Strategia mandata alla Commissione –
nell’ambito dei progetti, per un valore complessivo di 40 miliardi, che dovrebbero essere finanziati dal piano Juncker – i punti principali sono appunto gli 8 miliardi di investimenti pubblici e privati nel triennio 2014-2016 e
obiettivi specifici suddivisi per aree geografiche. A
Roma,
Milano,
Napoli,
Torino,
Palermo,
Genova,
Bologna,
Firenze,
Bari,
Catania,
Venezia,
Verona,
Messina,
Padova e
Trieste il “salto di qualità” a 100 Megabit è previsto entro il 2020, facilitato da “strumenti finanziari per l’accesso al debito” e/o “misure di defiscalizzazione degli investimenti”. In altri 1.120 Comuni, alcuni in aree nere e altri in aree grigie (dove cioè è presente un solo operatore di rete), si punta al meno ambizioso obiettivo di arrivare a “oltre 30 Mbps”. Per farlo però “è necessario prevedere anche
contributi a fondo perduto con eventuale
partecipazione pubblica alla realizzazione delle opere”, seppure in misura “limitata allo stretto necessario, data l’appetibilità di mercato di molte delle aree incluse”. Seguono 2.650 Comuni e alcune aree rurali non coperte da reti veloci per cui “è necessario prevedere non solo soluzioni per l’accesso al credito agevolato e incentivi fiscali, ma anche una parte di contributi a fondo perduto”, anche in questo caso “limitata”.
Infine il gruppone dei meno fortunati, le aree a fallimento di mercato: 4.300 Comuni, soprattutto del Sud, in cui vive il 15% della popolazione italiana e “per i quali solo l’intervento pubblico può garantire alla popolazione residente un servizio di connettività a più di 30 Mbps” e “si ritiene che l’incentivo pubblico possa essere concesso in misura maggiore a fondo perduto, considerando le infrastrutture a banda ultralarga strategiche ai fini delle politiche di coesione per lo sviluppo dei territori particolarmente disagiati”.