Era l’occasione buona per disboscare la giungla delle società pubbliche. A dare il “la” è stato il premier Matteo Renzi, fresco di incarico, a suon di tweet. Quello datato 8 aprile 2014 faceva ben sperare: #municipalizzate “sfoltire e semplificare”. A distanza di molti mesi tocca però constatare che il nuovo corso della politica non ha interrotto le vecchia abitudine di utilizzare le partecipate come paracadute per fedelissimi e trombati da sistemare, a spese del contribuente, per 450 milioni di euro l’anno. Lo sa bene Carlo Cottarelli che il 7 agosto ha presentato al governo un “programma di razionalizzazione” per ridurne il numero da 8mila a mille nel giro di tre anni. Non farà in tempo: il commissario ha lasciato l’incarico dopo un anno soltanto e il suo dossier è finito tra i misteri della Terza Repubblica. Nel frattempo la giostra delle nomine non si è mai fermata e le poltrone da rottamare sono state rifoderate. Cominciamo da Poste. Elisabetta Fabri dal 2000 guida la catena fiorentina Starhotels. Nel 2011 ebbe l’intuizione di raccogliere l’invito del sindaco Renzi a restaurare a proprie spese, al costo di 15mila euro, la cinquecentesca Madonna del Velo. Passano tre anni e il premier le affida un incarico da consigliere da 40mila euro l’anno. E pazienza se alle Poste, società che svolge un servizio pubblico di rilevanza economica, viene spedito un manager alberghiero. Per altro in compagnia di tanti tanti “amici”.
Un lavoro sicuro alle Poste. Ma solo per i nominati
Basta tirare un filo, arrivano su tutti. La società pubblica, va detto, è attesa alla prova di passaggi delicatissimi: la privatizzazione, lo sbarco in Borsa. Ma questo non ha impedito al governo di riempire i posti chiave con soggetti d’ogni provenienza professionale e politica, soprattutto di “quote viola”, perché si tratta per lo più di manager nati o venuti a lavorare a Firenze ed entrati in “sintonia” con chi, dal 2009 al febbraio 2014, ne è stato il sindaco. Questa la radiografia dell’ultima tornata di nomine.
La presidenza è finita a Luisa Todini: 238mila euro lordi, più 66mila euro come consigliere Rai. E’ una scommessa rosa di Renzi. Imprenditrice di nascita, ex eurodeputata di Forza Italia che non spiace a sinistra, anche grazie alle sue partecipazioni nei talk d’area. Come consigliere di Poste entra anche l’ex portavoce di Casini, nonché ex deputato Udc, Roberto Rao: 40mila euro l’anno. In Poste Vita approdata Bianca Maria Martinelli, manager del settore comunicazioni, già consigliere di amministrazione di Vodafone Italia, candidata senza fortuna alle politiche 2013 per Scelta Civica. Di Poste sapeva poco o nulla, ma dalla sua vanta esperienze professionali in Fininvest e la creazione di Telecinco, l’ammiraglia spagnola del gruppo Mediaset.
Atterrano alle Poste altri folgorati sulla via di Rignano d’Arno. Antonio Campo dall’Orto, già frequentatore del palco della Leopolda, arriva da Conegliano, provincia di Treviso. La sua amicizia con Renzi risale al 2010, quando lo chiamò per realizzare l’edizione fiorentina del reality ultrapop di Mtv “Jersey Shore”, trovando nel sindaco pronta disponibilità. L’intesa fu tale che a lungo Dall’Orto è stato accreditato come favorito per la direzione generale della Rai, nel caso Gubitosi liberasse la poltrona. L’opzione, si sa, è poi sfumata e lui ha trovato un posto alle Poste, pur essendosi occupato sempre di tv. Un lavoro sicuro lo trova anche Andrea Peruzy, segretario della fondazione dalemiana Italianieuropei, assurto ad amministratore della Banca del Mezzogiorno di Poste Italiane, società che Monti voleva liquidare. Infine la compagnia aerea di Poste, la Mistral Air, ha imbarcato un ex deputato Pd col diploma di perito tecnico industriale. Si tratta di Massimo Zunino, due legislature alle spalle e molto impegno per far confluire i circoli savonesi nel correntone renziano.
Nessuna svolta per lo stipendificio di Stato
I volenterosi finanziatori della Leopolda hanno poi vinto un trono all’Enel, all’Eni o in Finmeccanica. Nelle aziende di Stato si fatica a smistare il traffico degli accomodati tra le 600 poltrone di prima e seconda fila, in barba ai proclami ma soprattutto ai 50mila euro (più Iva) spesi dal governo Renzi per la consulenza di due società di cacciatori di teste – la Spencer & Stuart e la Korn Ferry – incaricate di selezionare i nuovi top manager pubblici fuori da logiche di lottizzazione politica. Quali sono state poi le scelte del governo? Ecco una rapida carrellata di casi, più o meno noti.
All’Enel è finito l’avvocato di Alfano, Andrea Gemma, che il leader Ncd aveva chiamato come “soggetto attuatore” del Piano Carceri (2010-2012, 100mila euro l’anno di compenso). Qui atterra anche lo sponsor della Leopolda e legale di fiducia del duo Renzi-Carrai, Alberto Bianchi, già presidente della Fondazione Open (dove siedono lo stesso Carrai, la ministra Boschi e il sottosegretario Luca Lotti) che per Renzi raccoglie i fondi da donatori privati. Suo fratello, per inciso, è Francesco Bianchi, il commercialista-commissario del disastrato Maggio musicale fiorentino, fortemente voluto dal “sindaco”. Tra quelli che invece hanno versato soldi a Renzi per le sue campagne alle primarie del Pd c’è il senese Fabrizio Landi, membro del cda di Banca CrFirenze ed ex amministratore delegato di Esaote, azienda leader del biomedicale con sede nella città del giglio. Landi nel 2012 ha regalato 10mila euro a Renzi, che due anni dopo si è ricordato di lui, indicandolo per il cda di Finmeccanica. All’Eni viene nominata l’imprenditrice aretina del rame Diva Moriani, in affari con la famiglia del ministro allo Sviluppo Federica Guidi e amministratore della Fondazione Dinamo, presieduta da Vincenzo Manes, imprenditore che guida l’Intek group (dove anche siede la Moriani) e generoso finanziatore di Renzi (62mila euro di donazioni), che lo ha fatto nominare nel 2010 in Aeroporti di Firenze.
Altro renziano doc all’Eni è Marco Seracini, uno dei soci fondatori e presidente di un’altra associazione di raccolta fondi per Renzi, NoiLink (anche qui in compagnia di Carrai, e anche della deputata Simona Bonafè). Link ha cessato le sue attività nel 2011, con un ottimo risultato alle spalle: 750mila euro raccolti per Renzi che tre anni dopo si ricorderà di lui, nominandolo sindaco revisore in Eni. Seracini – scrive il Corriere fiorentino – è anche “commercialista di fiducia di Renzi, presidente di Montedomini e fratello di Maurizio Seracini, l’ingegnere che sta compiendo le ricerche per la battaglia di Anghiari”, pallino renziano di trovare un capolavoro vinciano celato dietro un affresco del Vasari a Palazzo Vecchio. L’affresco contemporaneo, intanto, è una pioggia di nomine.
La carica dei 37mila posti nelle 8mila partecipate locali
Le controllate statali sono lo spazio da esposizione del Poltronificio. Il magazzino è nelle retrovie, nei “sistemi territoriali” delle controllate regionali, delle multiutility, delle fondazioni e delle municipalizzate. Dove chi esercita localmente il potere può conferire incarichi a pioggia grazie a 37mila poltrone disponibili per le nomine. Un’impresa scovare tra i curriculum di consiglieri e amministratori qualcuno che abbia maturato esperienza e competenze nella gestione di servizi pubblici di rilevanza economica. Abbondano invece i “trombati”.
Cottarelli aveva stilato una lista nera delle società che cumulavano maggiori perdite: 600 milioni di euro per 20 partecipate. In cima, con 155 milioni di perdite e 750 di debiti, c’è l’Atac, la disastrata azienda di trasporti del Comune di Roma. Amministratore delegato, da luglio 2013 è il milanese Danilo Broggi, oggetto di apprezzamenti trasversali della politica, tanto da essere nominato a suo tempo da Tremonti in Consip (2005-2011). Non si è mai occupato di trasporti e nonostante i conti non virino dal rosso, resta lì e non solo. Anche lui è stato nominato alle Poste, ramo assicurativo, insieme alla schiera del cosiddetto “giglio magico”.
Per restare nel Lazio, Cottarelli avrebbe voluto liquidare la Eur Spa. E’ la società controllata al 90% dal Tesoro e per il 10% dal Comune di Roma che gestisce, con milioni di perdite, l’immenso patrimonio edilizio ereditato dall’Esposizione universale del 42: palazzi, musei, parchi e intere strade. Impresa più facile a dirsi che a farsi: quello è un intero pezzo di Roma su cui – complici i conti in rosso del Comune – hanno messo le mani i palazzinari della capitale, senza che la politica levasse le sue. Le premesse c’erano poi tutte: la società era a un passo dal tracollo, la Legge di Stabilità 2014 stanziava 100 milioni per onorarne debiti e perdite. La Procura di Roma aveva rinviato a giudizio l’ex ad Riccardo Mancini per lo scandalo sull’appalto dei filobus. E invece non succede proprio nulla. La controllata capitolina, mucca senza più molto da spremere, vien sempre buona per sistemare qualcuno. Ad esempio Pierluigi Borghini. Nel 1997 si presenta come candidato sindaco del Pdl contro Rutelli e perde. Prova a candidarsi alle politiche del 2001 per Forza Italia e non viene eletto. Ci riprova a quelle del 2013, niente da fare. Per sua fortuna ha potuto però contare sull’Eur, che presiede dal 2009, con un compenso di 189mila euro l’anno. Ora di liquidazione e accorpamento non si sente più parlare. Si aspetta solo la scadenza del mandato per metterci qualcuno al passo coi tempi.
L’Italia dei nominati allo specchio: Finlombarda e Fincalabria
Cottarelli avrebbe poi voluto mettere le mani sulle società regionali che contano 7.300 dipendenti che, tra il 2009 e il 2012, sono costati un miliardo e 89 milioni di euro a cui vanno aggiunti altri 87 milioni per pagare gli amministratori, 91 milioni per il funzionamento e 75 milioni di debiti. E dove i nominati non si riescono a disarcionare neppure volendo. Due esempi ancora, agli antipodi dello Stivale. Regione Lombardia eccelle anche nel numero delle sue partecipate. Ogni anno pubblica un “bollettino degli incarichi” e l’ultima edizione conta 400 pagine fitte fitte di nomi, poltrone e compensi. E anche qui, le sorprese non mancano. Capita così di scorgere fra i nomi dei nuovi consiglieri di Finlombarda quello dell’esponente di Forza Italia Marco Flavio Cirillo: trombato alle politiche del 2013, nominato sottosegretario all’Ambiente nel governo Letta e lasciato a casa da quello di Renzi. Per lui c’è un gettone di consolazione da 285 euro a presenza. E così fan davvero tutti. Andando all’altro capo dello Stivale c’è Fincalabria, la cassaforte regionale con cinque sedi e altre 22 società partecipate in pancia, due delle quali in fallimento e una in liquidazione. Questa finanziaria traballante di una Regione senza governatore, è gestita da un reggente in attesa delle elezioni. Si chiama Luca Mannarino ed è il coordinatore regionale dei Club Forza Silvio. Per il presidente è fissato un compenso di 84mila euro l’anno. In attesa di future imprese politiche.