Ventuno miliardi di euro di risorse comunitarie che dovrebbero diventare 315 grazie all'”effetto moltiplicatore”. Martedì pomeriggio, a Strasburgo, la Commissione europea ha approvato l’atteso piano di investimenti promessi da Jean-Claude Juncker fin dalla scorsa estate. E, vista da vicino, la maxi-operazione fortemente voluta anche dal governo di Matteo Renzi è molto meno imponente rispetto alle attese. Le risorse effettive messe in campo dall’Unione, che creerà uno strumento ad hoc battezzato Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis o, in inglese, Efsi) gestito dalla Banca europea per gli investimenti, ammonteranno infatti a soli 21 miliardi, cinque dei quali della stessa Bei. A fare la magia di trasformarli nei famosi 300 miliardi di cui si parla da mesi dovrà essere il cosiddetto effetto leva, cioè l’attivazione di investimenti privati pari a 15 volte la posta messa sul piatto da Bruxelles. Questo, almeno, è l’auspicio. Resta il fatto che i “soldi veri”, per ora, sono un quarto di quanto richiesto dalla sola Italia, che ha presentato progetti per oltre 87 miliardi da spalmare sul triennio 2015-2017.

Per di più i 16 miliardi della Ue (5, appunto, li mette la Bei) non saranno tutti cash: otto saranno costituiti da risorse già esistenti da riallocare – 2,7 miliardi verranno presi dal programma per la ricerca Horizon 2020, altri 3 miliardi dal programma Cef per il finanziamento delle reti di trasporto – e da somme “da reperire nei prossimi esercizi finanziari”, altri due verranno dai “margini di bilancio”, cioè la differenza tra gli stanziamenti iscritti nel budget europeo e il massimale annuo di pagamento, che è più alto proprio per lasciare un cuscinetto da utilizzare in caso di necessità.

La Bei utilizzerà i 21 miliardi complessivi per emettere obbligazioni e raccogliere sul mercato fondi per un totale di 60 miliardi, con i quali a loro volta saranno finanziati i singoli progetti infrastrutturali (reti energetiche, di telecomunicazione e trasporto). Ed è qui, come spiegato nelle 9 slide che illustrano il piano, che entra in azione l’effetto leva che dovrebbe moltiplicare per cinque quei fondi consentendo di far arrivare sul territorio dell’Unione 315 miliardi.

Il Feis sarà formalmente un’entità separata dalla Bei, per non mettere al rischio il suo rating tripla A ed evitare di esporre l’istituto creditizio a rischi. Il piano della Commissione risponde a tre esigenze (“pilastri”): mobilitare investimenti senza produrre nuovo debito pubblico, sostenere progetti in aree ritenute chiave come infrastrutture, ricerca e innovazione e rimuovere le barriere non finanziarie agli investimenti. “Il fondamento logico del Feis è di intercettare i progetti più rischiosi e soffermarsi su attività che sono di maggiore interesse strategico”, spiega la nota della Commissione. Il fondo “si assume la parte di rischio complessa”, facendosi carico della garanzia “sotto forma di debito subordinato”. Cioè accetta di essere pagato dopo gli altri creditori. Questo, secondo la Commissione, dovrebbe indurre i privati a partecipare alla parte meno rischiosa dell’investimento.

Gli Stati membri dell’Ue, come già chiarito nei giorni scorsi, potranno contribuire al piano su base volontaria immettendo risorse aggiuntive nel Feis. In tal caso “la Commissione adotterà una posizione favorevole nel contesto del giudizio delle finanze pubbliche nell’ambito del Patto di stabilità e crescita“. Vale a dire che quel cofinanziamento resterà fuori dal calcolo del deficit. Una decisione, quest’ultima, che Roma caldeggia fin dai tempi del governo Monti.

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