Il quarto re di Roma, il nero di Romanzo Criminale, il ‘guercio’ per via dell’occhio perso in seguito a una sparatoria con la Digos, l’ex Nar amico e compagno di scuola di Giusva Fioravanti, accusato di avere legami con la Banda della Magliana. E, ancora, accusato ma poi prosciolto dall’imputazione di essere uno dei sicari di Mino Pecorelli; indagato per essere l’ideatore del furto al caveau della Banca di Roma interno al Palazzo di Giustizia di Piazzale Clodio nel 1999 in cui, fra l’altro, venne rubata documentazione per ricattare i magistrati, e coinvolto nel 2012 nell’inchiesta sul calcioscomesse. Da quasi 40 anni le mani di Massimo Carminati, nato a Milano, classe 1958, sono sulla città di Roma. È lui il capo di Mafia Capitale, l’organizzazione a cui la Procura di Roma contesta l’associazione di stampo mafioso, capace di corrompere politici di destra e di sinistra.
Ma dalla metà degli anni ’70 è riuscito quasi sempre a farla franca nei processi, nonostante molti pentiti lo abbiano accusato di tanti omicidi e anche di avere avuto un ruolo con i servizi segreti nel presunto depistaggio delle indagini per la strage di Bologna. Pur essendo milanese di nascita, il 56enne ha sempre avuto un ruolo di primo piano nella storia parallela del malaffare della Capitale, ma soprattutto per gli inquirenti è sempre stato un mediatore ‘di rispetto’ tra mondi solo apparentemente lontani: i Nar e la Banda della Magliana; la mafia e la politica; o come nel calcio-scommesse con ‘soci’ con stretti collegamenti con esponenti della criminalità calabrese. Ed anche nell’inchiesta ‘Mafia Capitale’ il suo metodo è rimasto immutato.
Nell’ordinanza si legge che Carminati mutua il ruolo che aveva “all’interno del sistema criminale romano degli anni ’80, cioè quello di trait d’union tra mondi apparentemente inconciliabili, quello del crimine, quello della alta finanza, quello della politica”. Insomma per dirla con le sue parole, “io sono il Re di Roma“.
Forte della sua esperienza e dei suoi rapporti Carminati ha messo in piedi una vera holding criminale che spaziava dalla corruzione, per aggiudicarsi appalti, all’estorsione, all’usura e al riciclaggio.
Un capo che – secondo i magistrati – “avvalendosi della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo” poteva puntare ad una “condizione di assoggettamento e di omertà”. Per chi indaga, l’ex terrorista dei Nar sovrintendeva e coordinava tutte le attività dell’associazione, impartiva direttive agli altri e forniva loro schede dedicate per le comunicazioni riservate. L’attività di Carminati si spingeva anche nell’individuare e “reclutare imprenditori” ai quali forniva protezione, manteneva i rapporti con gli esponenti delle altre organizzazioni criminali che operano su Roma “nonché con esponenti del mondo politico, istituzionale, finanziario e con appartenenti alle forze dell’ordine e ai servizi segreti“.
Ed è proprio Carminati a spiegare la sua filosofia di vita: “È la teoria del mondo di mezzo – dice in una intercettazione…dove tutto si incontra…tutto si mischia…perché anche la persona che sta nel sovramondo ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non le può fare nessuno…”. E lui nel mondo di mezzo sono quasi 40 anni che naviga tra inchieste, accuse, arresti. L’ultimo per 416 bis finalizzato a una lunga serie di reati.