Una riforma che non arriva, risorse mancanti, nomine contestate, enti in conflitto. Fino ad arrivare alla guerra a colpi di carte bollate. Il mondo delle adozioni internazionali è nel caos. Con gravi ripercussioni sul numero di bambini che arrivano in Italia. L’ultimo capitolo consiste in un clamoroso ricorso al Tar presentato dall’associazione Amici dei bambini (Aibi), uno dei maggiori tra i 62 enti che accompagnano gli aspiranti genitori nell’iter adottivo, contro la Commissione adozioni internazionali (Cai), incaricata di vigilare sul settore. Il fondatore e presidente di Aibi Marco Griffini, da mesi in rapporti tesissimi con i vertici dell’autorità che fa capo alla presidenza del Consiglio, la accusa di “eccesso di potere e violazione di legge” per aver tolto di imperio alla ong gli incarichi affidati da una cinquantina di coppie in attesa di adottare in Congo. Motivazione dichiarata dalla Cai, una “particolare situazione di carattere internazionale”: Kinshasa più di un anno fa ha bloccato le autorizzazioni all’uscita dei minori, causando un’impasse tutt’altro che risolta dalla “missione” ad alto impatto mediatico del ministro Maria Elena Boschi. Oltre 100 famiglie, infatti, ancora aspettano di portare in Italia i bambini adottati nello Stato africano.
Per Aibi, in ogni caso, il provvedimento è illegittimo. E non è l’unica critica: “Abbiamo scritto almeno cinquanta lettere chiedendo informazioni sugli accordi bilaterali e gli accreditamenti presso nuovi Paesi, ottenendo come risposta il silenzio assoluto”, racconta Griffini. “Non c’è più comunicazione con noi ma nemmeno con le coppie che aspettano notizie sui loro figli”, aggiunge Gianfranco Arnoletti, presidente di Cifa, primo ente italiano con 294 adozioni andate in porto nel 2013. “Il servizio di numero verde è sospeso da molto tempo”. In più negli ultimi 11 mesi la Commissione – che Ilfattoquotidiano.it ha provato a contattare telefonicamente e via e-mail senza ottenere risposte – risulta essersi riunita solo una volta, a fine giugno. Di conseguenza, pur trattandosi di un organo collegiale, tutti i suoi atti sono stati adottati in assoluta autonomia dalla presidente e vicepresidente Silvia Della Monica. La cui nomina è finita al centro di un’interpellanza parlamentare firmata da Carlo Giovanardi, presidente della Commissione negli anni in cui è stato titolare del ministero Politiche per la famiglia.
Giovanardi ha messo in dubbio “titoli, attribuzioni e specifiche competenze maturate nel settore della giustizia minorile e nel settore delle adozioni” di Della Monica. Che è un magistrato, è stata pretore a Pontassieve – il comune di Matteo Renzi – e consigliere di Cassazione e negli anni ottanta ha guidato il pool che ha investigato sul caso del mostro di Firenze. Poi l’ingresso in politica come senatrice del Pd e, lo scorso febbraio, l’approdo alla Cai come vicepresidente. In aprile il premier ha fatto sapere di voler tenere per sé la delega sulla Commissione, in passato sempre presieduta da un ministro (l’ultima era stata Cecile Kyenge). Gli enti speravano in una svolta, salvo ricredersi poche settimane dopo quando Renzi ha comunicato di aver affidato la competenza alla stessa Della Monica, investita così di un doppio ruolo e di poteri sia di impulso e controllo sia di gestione. “In evidente contrasto con il riparto delle competenze previsto dalla normativa vigente, con una totale assenza del ruolo politico di titolarità dell’esecutivo”, si legge nell’interpellanza. Va detto che, dopo il deposito dell’atto parlamentare, alcune associazioni hanno recapitato alla Commissione “manifestazioni di fiducia”, subito segnalate e linkate sul suo sito. Aibi sostiene che si inseriscono nel “clima di terrore” creato dall’eccesso di potere di Della Monica, che ha poteri di verifica e sugli enti e può anche revocarne le autorizzazioni. N.a.a.a. onlus, uno degli enti “fedeli”, contattata da ilfattoquotidiano.it smorza però l’entusiasmo, parlando solo di “rispetto del ruolo istituzionale” e di “necessità di adeguarsi con molta umiltà alle richieste della Cai”.
“Il governo ha scelto di finanziare la fecondazione eterologa, mentre adottare resterà uno sfizio per chi se lo può permettere”
Il disimpegno dalla Commissione, secondo le associazioni, è solo uno degli indizi dell’indifferenza del governo nei confronti del settore. L’ultimo schiaffo è arrivato all’inizio di dicembre, quando alla Camera è stato bocciato l’emendamento alla legge di Stabilità che introduceva un sostegno economico di 5mila euro per le coppie che adottano. A prometterlo, solo due settimane prima, era stato il sottosegretario Graziano Delrio, che aveva garantito l’impegno dell’esecutivo. Parole che a Griffini suonano come una presa in giro. Perché il problema delle risorse esiste – i costi da sostenere per l’intero percorso possono superare i 25mila euro – ma quel che serve davvero, secondo gli enti, è una “disciplina più moderna ed efficace delle adozioni”: quella auspicata nel gennaio di quest’anno da un Renzi ancora sindaco di Firenze. Invece non solo l’urgenza di una riforma (il sistema è ancora regolato da una legge del 1983) è stata dimenticata, ma “intorno alle adozioni internazionali c’è il silenzio”, accusa Arnoletti. “Il governo sembra attento a ogni forma di genitorialità tranne questa”. “C’è stata evidentemente una decisione politica“, rincara Griffini. “Si è scelto di favorire e finanziare la fecondazione eterologa, mentre adottare resterà uno sfizio per chi se lo può permettere“. Di fronte a questa “progressiva e sempre più preoccupante crisi del sistema”, in ottobre Aibi ha per la prima volta nella sua storia sospeso l’accettazione di nuovi incarichi da coppie che vogliono adottare.
Nel 2010 l’Italia era il primo Paese europeo per bambini adottati all’estero: 4.130. Nel 2013 sono stati solo 2.800 e quest’anno caleranno almeno del 10%
Sommando ai contrasti istituzionali la burocrazia, la necessità di ottenere l’ok del tribunale dei minorenni (un unicum in Europa), i costi, la piaga mai risolta delle coppie “invitate” a portare all’estero denaro in contanti per oliare funzionari locali e l’incubo dei bambini bloccati in Congo, il risultato è un crollo delle adozioni. Nel 2010 l’Italia, con 4.130 bambini adottati all’estero, era il primo Paese europeo e il secondo al mondo dopo gli Usa. Nel 2013 siamo scesi a poco più di 2.800. E quest’anno il numero è destinato a calare almeno di un altro 10%, stando ai dati registrati nei primi otto mesi da un gruppo di associazioni accreditate. Molte delle quali sono anche in gravi difficoltà finanziarie.