“Nell’Italia settentrionale, accanto a una generale ignoranza dell’entità degli oneri finanziari che i comuni meridionali sopportano per l’istruzione elementare proporzionalmente alla potenzialità dei loro bilanci, è diffuso il preconcetto che i contributi dello Stato siano tanto ingenti e così saggiamente distribuiti che solo quella buona dose di indolenza e mal volere, che suolsi attribuire ai meridionali in genere, possa spiegare il costante insuccesso della nostra legislazione scolastica nell’Italia meridionale”.
Pensate che scriva il solito meridionalista, intento a perorare la causa stantìa della sua terra e della sua gente? Devo smentirvi. Siamo agli inizi del Novecento. Scrive Giuseppe Donati. Giornalista e politico di Granarolo. Settentrionale onesto e coraggioso. L’articolo è del 1912: “L’analfabetismo e la legge Credaro nel Mezzogiorno”. Vi sottolinea l’assurdità della legge scolastica del tempo, che attribuiva ai comuni gli oneri della lotta all’analfabetismo. E così, in provincia di Bari, ci si trovava a spendere il 20% del budget per l’istruzione, mentre, in quella di Milano, solo il 9%. Superfluo ricordare che i comuni meridionali avevano risorse assai più esigue, al di là delle percentuali d’incidenza.
Ne cito il brano centrale, che motiva questa digressione: “Incominciò così, [parliamo del 1876] il vizio organico della nostra politica finanziaria di Stato: cioè prendendosi a base dei contributi dello Stato le scuole esistenti di fatto, questi contributi si trovarono distribuiti fra i comuni in ragione non della povertà, ma della ricchezza; cioè i comuni più ricchi, capaci di istituire maggior numero di scuole, assorbirono una maggiore quantità di contributi statali. In altre parole, la maggior parte degli aiuti affluì spontaneamente nei comuni meno disagiati del nord”.
Storie vecchie? Roba che porta addosso odor di vecchi archivi? Devo smentire, ancora. Abbiate ancora un briciolo di pazienza e forse sarò in grado di spiegare per quale ragione ho dovuto scomodare l’illustre Donati.
Qualche sera fa mi giunse, via Facebook, questo messaggio da Marco Esposito, stimatissimo giornalista de Il Mattino, che divulgo, a seguito di sua approvazione: “Fa’ un piccolo esercizio: vai su www.opencivitas.it e clicca su un comune del Sud a caso. Vedi quanti soldi sono assegnati come fabbisogno standard per gli asili nido. Poi cerca un comune con simile popolazione del Nord e fai il confronto sui fabbisogni assegnati. Ripeti l’esercizio per quanti esempi vuoi. I fabbisogni standard saranno utilizzati per ripartire una quota delle risorse del 2015. Più bassi sono i fabbisogni, meno risorse avrai”.
Non ne sapevo nulla. Lo ammetto. Scopro che lo stesso Esposito, già nel marzo 2014, scriveva: “Quando il Sud spende troppo, si applica con rigore (come giusto) il costo standard, quando il Sud spende poco – come per gli asili nido e le scuole – a sorpresa vale la famigerata «spesa storica», proprio quella che il federalismo fiscale prometteva di superare”.
Decisamente incuriosito, vado su www.OpenCivitas.it e lo consulto per due comuni a caso; Milano e Napoli. Poi comincio a guardare per decine di comuni; ecco cosa ho trovato… La spesa storica per la voce asili nido, per il comune di Napoli, è di 33 milioni circa, il fabbisogno di 15 milioni. Differenza: – 52%. A Milano, la spesa storica è di 117 milioni, mentre il fabbisogno standard è di 128 milioni, con una differenza del +9.1%. Nei comuni in cui, invece, nel 2010 non si sono effettuate spese per asili nido, il fabbisogno assegnato diventa 0 euro, anche per il prossimo 2015. Ciò significa che il dato Comune non potrà nemmeno avviare nuovi servizi di asilo, all’occorrenza. Ciò vale per tantissimi comuni… Andate a vedere…
Facciamo chiarezza: il concetto di “spesa storica” misura l’ammontare effettivamente speso da un Ente in un dato anno per l’offerta di servizi ai cittadini. I Fabbisogni Standard misurano invece il fabbisogno finanziario di un ente in base alle caratteristiche territoriali e agli aspetti socio-demografici della popolazione residente. È davvero una singolare circostanza il fatto che proprio su due voci, quella della spesa per gli asili e quella per l’istruzione, dove maggiore è lo sbilanciamento tra Nord e Sud, si sia scelto di cristallizzare lo status quo, prolungandolo sull’asse temporale. Sono state avanzate diverse proposte per superare il problema, ma, al momento, non ho trovato notizie in merito a cambi di rotta.
“Lo Stato, dunque, prendeva, per mezzo delle tasse, denaro da tutta Italia – e ne prendeva, relativamente alla ricchezza, più dal sud povero che dal nord ricco – e il provento di queste tasse lo adoperava non per aiutare i più poveri, ma per migliorare i più ricchi”. Ancora Donati. Non Esposito…