“Il fatto non costituisce reato”. La formula è troppo semplice per rendere conto delle sofferenze e dei guai passati da Alberto Ricciardi, l’imprenditore 60enne di Massa che ha perso la sua azienda Fermet dopo una serie di verifiche della Guardia di finanza e di accertamenti dell’Agenzia delle entrate. Provvedimenti tutti annullati, uno dopo l’altro. Si chiude così il filone penale derivato dalle azioni del Fisco, con l’accusa per Ricciardi di aver evaso dal 2008 al 2010 tasse per un imponibile superiore ai 23 milioni di euro. La sentenza di assoluzione è stata pronunciata lo scorso luglio dal tribunale di Brescia, ma è passata in giudicato solo nei giorni scorsi, quando sono scaduti i termini per presentare appello. Il finale però è lieto solo sul fronte giudiziario. Perché nel frattempo la Fermet, un tempo leader nella trasformazione di materiali metallici da rivendere alle più importanti acciaierie d’Italia e con fatturato superiore ai 200 milioni di euro, è ormai in liquidazione da mesi. Le gru sono ferme, i 70 operai non hanno più il loro posto di lavoro. “Lo Stato ha distrutto questa azienda, ora deve rimediare all’errore”, afferma Giovanni Toffali, uno dei legali di Ricciardi. “Per questo stiamo preparando un’importante richiesta di risarcimento”.
Sulla sorte di Fermet, va detto, ha pesato anche una sentenza del Consiglio di Stato. Che nel 2012 non ha riconosciuto un risarcimento milionario per una delibera con cui il consorzio pubblico Zona industriale apuana aveva assegnato senza bando un’area a un gruppo di aziende concorrenti. E ciò nonostante la Cassazione avesse in precedenza annullato la delibera medesima. Una vicenda che negli anni è andata in parallelo a quella principale dei controlli delle Fiamme gialle, a seguito dei quali nel 2009 alcuni fornitori della Fermet sono stati trovati senza dipendenti e senza la struttura necessaria per svolgere l’attività. Delle “mere cartiere”, insomma, come conferma il giudice di Brescia nella sentenza di assoluzione.
Proprio per questo il Fisco aveva contestato a Ricciardi di avere dedotto a bilancio dei costi a fronte di fatture soggettivamente inesistenti, cioè dei costi realmente sostenuti, ma derivanti da operazioni in nero a monte della catena di approvvigionamento. Una posizione su cui l’Agenzia delle entrate ha fatto di recente marcia indietro. E ora anche il giudice, che sottolinea come non risulti “prova di difformità, totale o parziale, tra i costi sostenuti e i costi esposti”, giudica corretto il modo in cui Fermet ha contabilizzato quelle spese. Del resto la possibilità di dedurre costi derivanti da operazioni soggettivamente inesistenti era stata confermata a livello normativo già due anni fa.
Ma ciò non aveva dissuaso l’Agenzia delle entrate dall’emettere una serie di nuovi accertamenti che hanno dato la mazzata finale a Fermet. Il contenzioso ha infatti impedito all’azienda di incassare un credito Iva da 5 milioni di euro. Soldi grazie ai quali si sarebbe forse salvata. Ma che ancora oggi è impossibile ottenere, nonostante l’accusa di evasione sia caduta, perché la legge impone anche alle società senza pendenze con il Fisco di garantire l’incasso dei rimborsi Iva con una fideiussione. La logica è questa: se un futuro accertamento fiscale lo riterrà non dovuto, il rimborso potrà essere recuperato dall’erario senza difficoltà. Ma quale banca firma una fideiussione a un’impresa finita in liquidazione? “Ora la battaglia è su questo – dice Ricciardi -. Il Parlamento deve modificare le norme. Io sono determinato a far ripartire l’azienda e a pagare tutti i miei fornitori”.