Era stato assolto in primo e secondo grado e questo per Alberto Stasi era il secondo giudizio d’appello davanti ai giudici della corte d’Assise d’appello di Milano. Che oggi lo hanno condannato a 16 anni per l’omicidio di Chiara Poggi. I giudici hanno escluso l’aggravante della crudeltà contestata e hanno applicato lo sconto per il rito abbreviato, pari a un terzo della pena. Stasi, è stato condannato a versare 350 mila euro di risarcimento a ciascuno dei genitori di Chiara e 300 mila euro al fratello Marco, in totale un milione di euro. La condanna al risarcimento è immediatamente esecutiva.
Esclusa l’aggravante della crudeltà e sconto di un terzo della pena perché il processo si celebrava con il rito abbreviato
Il 24 novembre il sostituto procuratore generale, Laura Barbaini, aveva chiesto 30 anni di carcere. Tre giorni dopo gli avvocati di parte civile, Francesco Compagna e Gian Luigi Tizzoni, avevano chiesto più che un risarcimento, indicato in un milione di euro, “giustizia per Chiara, quella giustizia che attendiamo da anni”. Mentre la difesa del commercialista, sostenuta dal professor Angelo Guarda, aveva chiesto l’assoluzione.
“È stata fatta giustizia, volevano soltanto giustizia e dopo sette anni è arrivata. Siamo soddisfatti, non abbiamo mai mollato – dice Rita, la madre di Chiara Poggi – . Ora guarderò Chiara e le dirò ‘ce l’hai fatta’”. Lo ha detto Rita Poggi, la madre di Chiara, dopo la sentenza di condanna a 16 anni di carcere per Alberto Stasi. A chi le chiedeva se avesse guardato Stasi dopo il verdetto, la donna ha risposto: “non ho guardato, ho ascoltato e basta”. ( “È stata una esperienza umana più che professionale – commenta l’avvocato di parte civile Gian Luigi Tizzoni – si tratta di una famiglia eccezionale”. Il legale ha voluto ringraziare la procura generale per il “grande sforzo. Oggi ci hanno dato una risposta”. Alla domanda se c’era soddisfazione per la pena, Tizzoni ha risposto: “Non ci interessava la pena o il risarcimento economico. Ci interessava la verità”. Giuseppe Poggi si è limitato a dire che c’è stata “un po’ di giustizia”. Quest’ultimo ha voluto ringraziare i legali di parte civile, Tizzoni e Francesco Compagna, e tutto il pool legale. “Chiara era diventata anche la loro figlia, non solo la nostra”. A chi gli ha chiesto cosa cambierà adesso per loro, il padre di Chiara ha risposto “non cambierà niente”. Cambierà molto per l’imputato: “Sconvolto” dal verdetto. ggi per la prima volta aveva deciso di rilasciare dichiarazioni spontanee in aula: “non cercate a tutti i costi un colpevole – ha detto guardano i giudici – condannando un innocente”.
La madre di Chiara: “È stata fatta giustizia, volevano soltanto giustizia e dopo sette anni è arrivata. Siamo soddisfatti, non abbiamo mai mollato”
Il processo bis per il delitto di Garlasco è iniziato il 9 aprile scorso. Il 30 aprile i giudici hanno deciso di riaprire il dibattimento e accogliere la richiesta di nuove prove. È così che una “squadra” di periti, nominati dal Tribunale, hanno analizzato nuovamente le prove e hanno risposto sulla questione del Dna del capello trovato in una mano di Chiara, ma soprattutto sulla camminata dell’imputato quando trovò il cadavere della fidanzata. Perché secondo la relazione degli esperti sono pari a 13 o a 16 per ogni miliardo le probabilità che l’imputato non calpestasse nemmeno una delle macchie di sangue sparse sul disimpegno e sui due gradini della scala della villetta di Garlasco.
Sono passati poco più di 7 anni da quella mattina del 13 agosto 2007 quando l’allora studente della Bocconi chiamò il 118 dicendo di aver trovato la fidanzata ferita. Stasi era stato indagato, poi fermato e quindi rilasciato. E sia il gup di Vigevano che i giudici d’appello di Milano lo avevano assolto. Una sentenza annullata dalla Cassazione il 18 aprile 2013 che aveva rinviato gli atti per la celebrazione di un nuovo processo d’appello. Il 31 ottobre i supremi giudici depositano le motivazioni: il verdetto di secondo grado di assoluzione di Stasi ha “un approccio non coerente ai principi della prova indiziaria” e segue un “non corretto percorso metodologico”. Secondo gli ermellini gli elementi indiziari sono considerati in maniera isolata “e avulsi dal loro contesto”. E da qui che iniziato il nuovo percorso giudiziario per la risoluzione del delitto di Garlasco.
Sono passati poco più di 7 anni da quella mattina del 13 agosto 2007 quando l’allora studente della Bocconi chiamò il 118
Oltre alla perizia la perizia sulla camminata (per gli esperti nominati dalla corte è quasi impossibile che il giovane non si sia sporcato le scarpe di sangue), i giudici hanno valutato le testimonianze sui graffi che il ragazzo aveva sul braccio quando fu interrogato dopo il ritrovamento del corpo (di cui ha parlato un carabiniere ma che non furono fotografati), e il mistero dei pedali di due biciclette (che per accusa e parte civile furono scambiati). Il giorno dell’omicidio di Chiara una testimone vide una bici nera da donna davanti al cancello di casa della studentessa. Ma la bici di nera di proprietà della famiglia Stasi non fu sequestrata all’epoca perché non aveva il portapacchi. Fu invece prelevata un’altra bici di colore bordeaux sui cui pedali furono trovate tracce di Dna della ragazza. Nei mesi scorsi la parte civile ha sostenuto che ci fu un “cambio di pedali” tra le due bici in possesso dell’imputato e che se fosse stata sequestrata la bici nera non si sarebbe trovato nulla perché appunto i pedali sarebbero stati scambiati.
Il calcolo della pena è stato fatto partendo dalla pena base per l’omicidio non aggravato: 24 anni, che sono stati ridotti di un terzo (otto anni) essendo il processo stato definito con rito abbreviato. L’impugnazione, scontata, della sentenza in Cassazione eviterà per ora a Stasi di finire in carcere. I giudici, tuttavia, potrebbero in qualsiasi momento adottare una misura cautelare se fosse ravvisato un pericolo di fuga dell’imputato.