È il 13 agosto 2007 quando Alberto Stasi, studente della Bocconi, trova senza vita la fidanzata Chiara Poggi, 26 anni. La ragazza è stata massacrata nella villetta di Garlasco (Pavia) dove la vittima viveva con la famiglia che era in vacanza. È Alberto a chiamare il 118: “Un’ambulanza in via Giovanni Pascoli a Garlasco”. “Ma cos’è successo?”, chiede l’operatrice. “Credo abbiano ucciso una persona. Ma forse è viva… non lo so”. Quando i soccorsi arrivano il cadavere è riverso sulle scale della cantina con il cranio fracassato. Il 18 agosto si svolgono i funerali della giovane: Alberto è accanto alla mamma di Chiara.
Dall’avviso di garanzia all’udienza preliminare
Il 20 agosto Stasi riceve un avviso di garanzia: il reato contestato è omicidio volontario. La sua casa è perquisita. I carabinieri sequestrano tre auto, tra cui la sua Golf, due biciclette (una vicina ha visto una bici da donna nera con portapacchi davanti alla villetta) e vari attrezzi. Il 13 settembre Stasi cambia i difensori: il professor Angelo Giarda sostituisce Giovanni ed Eleonora Lucido. Il 24 settembre il pm, Rosa Muscio, firma il fermo per omicidio volontario: sui pedali di una bici sono state trovate tracce di Dna compatibile con quello di Chiara: per i Ris è sangue della ragazza, per la difesa può essere sudore o saliva. Ma quattro giorni dopo il ragazzo viene scarcerato: il gip, Giulia Pravon, non convalida perché, argomenta nel provvedimento, mancano le prove.
Il 24 settembre 2007 il pm, Rosa Muscio, firma il fermo per omicidio volontario, ma il gip scarcera Alberto Stasi
Il 5 novembre viene depositato l’esito dell’autopsia. Chiara è stata uccisa tra le 11 e le 11.30, con un oggetto appuntito. Tra
i 10 e 15 i colpi inferti: l’ultimo, alla nuca, è stato mortale. Il 16 novembre i Ris consegnano la consulenza sulle tracce nella villetta. Sono di Chiara, dei suoi familiari e di Alberto. Il 20 dicembre Stasi è indagato anche per detenzione di materiale pedopornografico trovato nel suo pc (accusa da cui è stato assolto definitivamente). Il 27 marzo 2008 Alberto si laurea in economia alla Bocconi. Il 16 aprile dopo 225 giorni dall’omicidio, la famiglia Poggi rientra in possesso della casa, sequestrata dal giorno del delitto. Il 3 novembre 2008 la Procura di Vigevano chiede il rinvio a giudizio.
Dall’assoluzione in 1° grado alla Cassazione
Il 24 febbraio 2009 parte l’udienza preliminare davanti al gup Stefano Vitelli: Stasi chiede il rito abbreviato. Il successivo 9 aprile i pm Rosa Muscio e Claudio Michelucci chiedono per lui 30 anni di carcere. La decisione del gup arriva il 30 aprile: una superperizia con verifiche sul computer di Stasi, sul percorso compiuto quando trovò il corpo di Chiara, sull’orario della morte e un sopralluogo nella villetta. Ma le prove sono giudicate insufficienti e il 17 dicembre 2009 Stasi è assolto con la formula della mancanza o contraddittorietà o insufficienza delle prove. La sentenza viene impugnata.
Dopo aver disposto una serie di perizie il gup di Vigevano assolve l’imputato
L’8 novembre 2011 parte il processo d’appello davanti ai giudici milanesi: il pg Laura Barbaini chiede 30 anni, ma il 6 dicembre la Corte d’Assise d’appello conferma l’assoluzione. Una sentenza annullata dalla Cassazione il 18 aprile 2013 che rinvia gli atti per la celebrazione di un nuovo processo d’appello. Il 31 ottobre i supremi giudici depositano le motivazioni: il verdetto di secondo grado di assoluzione di Stasi ha “un approccio non coerente ai principi della prova indiziaria” e segue un “non corretto percorso metodologico”. Secondo gli ermellini gli elementi indiziari sono considerati in maniera isolata “e avulsi dal loro contesto”.
Dall’apertura del processo bis alle nuove perizie
Il 9 aprile a Milano si apre il processo d’appello bis. Il 30 aprile i giudici decidono di riaprire il dibattimento e accogliendo tutte le richieste di nuovi accertamenti avanzate sia dal sostituto procuratore generale Laura Barbaini sia dalla famiglia Poggi, tramite il loro avvocato Gianluigi Tizzoni, dispongono gli accertamenti per individuare il Dna mitocondriale da un capello corto castano chiaro trovato nel palmo della mano sinistra di Chiara e sui margini delle unghie della ragazza; la ripetizione dell’esperimento della cosiddetta camminata di Stasi sulla scena del crimine, estendendolo anche ai primi due gradini della scala su cui fu trovata senza vita la sua fidanzata e che Alberto dice di aver sceso; il sequestro della bici nera della donna nella disponibilità degli Stasi al fine solo di sottoporla alla ricognizione delle due testimoni.
Nel processo bis nuove l’accusa presenta nuove prove contro Alberto: dai pedali scambiati alla camminata
La perizia sul Dna però non dà risposte certe, perché se è vero che si tratta di Dna maschile è anche vero che è troppo degradato e in quantità troppo limitata, e quindi il confronto con il profilo genetico di Alberto Stasi, pur evidenziando la compatibilità di cinque ‘marcatori’, non dà esiti sufficientemente attendibili. È la perizia sulla camminata invece a fornire un punto a favore dell’accusa. Perché secondo la relazione degli esperti sono pari a 13 o a 16 per ogni miliardo le probabilità che l’imputato non calpestasse nemmeno una delle macchie di sangue sparse sul disimpegno e sui due gradini della scala della villetta di Garlasco.
Pm chiede 30 anni, la parte civile: “Giustizia”
Il 27 ottobre la I corte d’Assise d’appello di Milano accoglie le nuove richieste dell’accusa e dispone accertamenti sui pedali della bici nera da donna sequestrata agli Stasi per stabilire, come ipotizzato dalle indagini della parte civile, se siano stati scambiati o meno; approfondimenti sulle scarpe che il sostituto procuratore generale Laura Barbaini ha indicato come quello calzato all’omicida e sui presunti graffi sul braccio di Alberto notati e fotografati dai carabinieri di Garlasco quando, il 13 agosto 2007, dopo aver scoperto il corpo senza vita di Chiara, diede l’allarme. Le foto non sono state mai trovate.
Il 24 novembre l’accusa chiede 30 anni di carcere per Alberto Stasi. Tre giorni dopo gli avvocati di parte civile, Francesco Compagna e Gian Luigi Tizzoni, chiedono più che un risarcimento, indicato in un milione di euro, “giustizia per Chiara, quella giustizia che attendiamo da anni”. Per la parte civile ci sono ben undici indizi contro Alberto: dalla camminata ai graffi, dalle scarpe alla telefonata al 118, dalle bici e lo scambio di pedali alle bugie.
Giudici in camera di consiglio il 17 dicembre per emettere la sentenza
La difesa:”È innocente, ecco perché”
“Anche noi vogliamo giustizia ma non sulla testa di Alberto Stasi. Non ci sono prove e quindi va assolto per non aver commesso il fatto” invece la richiesta del professor Giarda. Che sostiene la possibilità che Stasi non si sia sporcato le scarpe perché il sangue si era essiccato e le suole si erano ripulite in quanto Alberto aveva camminato sull’erba. Riguardo a bici e pedali per la difesa quella usata dall’assassino non è stata individuata e in più l’ipotesi della sostituzione dei pedali non sta in piedi (“perché non sbarazzarsi di tutto, bici con pedali?”). Dei presunti graffi sull’avambraccio di Alberto notati da due carabinieri della stazione di Garlasco nell’immediatezza dell’assassinio la difesa dice che sono una “invenzione”.