Mandato di cattura internazionale nei confronti di Fetullah Gulen con l’accusa di terrorismo. È questo il provvedimento emesso da un tribunale turco nei confronti del predicatore, ex alleato e, ora, nemico giurato del nuovo presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan. Lo riferisce il sito del quotidiano Sabah spiegando che, secondo il tribunale, Gulen, da anni residente negli Stati Uniti, avrebbe creato e starebbe guidando un’organizzazione terroristica all’interno del Paese. Un’accusa che si ricollega alle numerose epurazioni nel corpo di polizia e nella magistratura ordinate da Erdogan durante i suoi mandati e ai recenti arresti di giornalisti considerati vicini agli ideali dell’ex alleato del presidente. La tv di stato ha precisato, però, che per il momento ai giudici è arrivata solo la richiesta da parte della procura, ma non c’è stato alcun pronunciamento.
Gulen è a capo di una setta, Hizmet, che esercita un forte potere politico all’interno del Paese, controllando alcuni media, banche e scuole. Un potere del quale si è servito lo stesso Erdogan per prendere il potere in Turchia. L’appoggio del predicatore Gulen gli ha garantito numerosi voti, che gli hanno permesso di vincere più volte le elezioni politiche. La rottura, però, c’è stata nel 2010, dopo la questione della Freedom Flotilla-Mavi Marmara. In quell’occasione, sei navi di un gruppo attivista pro-Palestina forzarono il blocco di Gaza per portare aiuti umanitari sulla Striscia e per compiere un’azione dimostrativa. I militari israeliani abbordarono una delle sei navi per fermarla, la Mavi Marmara appunto, e questo portò a uno scontro con gli attivisti finito con l’uccisione di 9 di questi.
In quel caso, Erdogan, che era primo ministro, parlò di “terrorismo di Stato” da parte di Israele e ruppe i rapporti con quello che era uno dei partner più importanti nell’area. Gulen, invece, prese le distanze dalla decisione del primo ministro turco e il rapporto tra i due si interruppe, con Erdogan che mantiene il comando del Paese da solo. La rottura definitiva, però, si è avuta quando Erdogan ha deciso di chiudere le Dershane, le scuole di preparazione all’istruzione superiore sotto il controllo di Gulen. La vendetta del predicatore non si fece attendere: dopo il referendum popolare del 10 settembre 2010, conseguente allo scandalo Ergenekon del 2007, che ha riformato tra le altre cose la magistratura e la Corte Costituzionale, questi organi, fino ad allora di impronta fortemente kemalista, sono passati sotto il controllo del gruppo Fetullah Gulen.
Da quel momento, l’ex alleato, che si era ipotizzato potesse fondare un proprio partito, è diventato un vero e proprio oppositore della linea Erdogan. Sarebbe proprio lui, secondo il nuovo presidente, il creatore dello “Stato parallelo“, che sta cercando di destabilizzare la sua leadership, e la mente dietro agli scandali di corruzione che hanno colpito Erdogan, il suo passato governo e la sua famiglia. Per questo motivo, negli ultimi anni, Erdogan ha portato a termine numerose e importanti epurazioni tra i vertici della polizia e della magistratura, settori considerati sotto il controllo degli uomini di Fetullah Gulen. Il presidente li considerava dei veri e propri bracci armati che stavano preparando un golpe. Sarebbe da queste aree dello “Stato parallelo” che sarebbero uscite, ha più volte ripetuto l’ex premier, le soffiate riguardanti gli scandali di corruzione.
Il mandato d’arresto nei confronti del predicatore e le operazioni compiute proprio dalle squadre antiterrorismo all’interno delle redazioni dei giornali d’opposizione, rappresentano, quindi, l’ultimo ed ennesimo episodio di una guerra che va avanti ormai da più di quattro anni e che Erdogan sembra voler portare a termine incarcerando il suo ex alleato.