La casa di un europarlamentare del Nuovo centrodestra è la sede di una delle principali imprese che gestiscono il Cara di Mineo, il centro per richiedenti asilo più grande d’Europa. Aumentano ogni giorno i fil rouge che collegano il centro per richiedenti asilo in provincia di Catania agli uomini di Angelino Alfano in Sicilia. L’ultimo è rappresentato da un appartamento al numero 16 di piazza Roma a Catania: appartiene a Giovanni La Via, ex assessore regionale all’Agricoltura di Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, uno dei tre europarlamentari eletti a Bruxelles dal Nuovo centrodestra alle ultime elezioni. Quell’appartamento è la sede catanese del consorzio Sisifo, iscritto a Legacoop, coinvolto nello scandalo delle docce antiscabbia del Cie di Lampedusa, che dal 2011 è tra le imprese che gestiscono il Cara di Mineo. La Via ha spiegato di non sapere nulla di Sisifo e del Cara di Mineo, ma di aver affidato la gestione del suo appartamento da dieci vani ad un’agenzia immobiliare, che trovato un inquilino in grado di pagare i mille e ottocento euro al mese di affitto.
Eppure sono molteplici i legami che collegano il partito del ministro dell’Interno con la gestione del centro richiedenti asilo etneo. Talmente tanti da portare la parlamentare del M5S Marialucia Lorefice ad intervenire, durante il question time a Montecitorio, per chiedere ad Alfano se fosse “a conoscenza dei profili di conflitti di interesse e di inopportunità dei ruoli di alcune persone apicali nella vicenda Cara”. Primo caso di conflitto d’interesse quello rappresentato dal sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione, ex presidente della provincia di Catania e presidente del consorzio Calatino Terra d’Accoglienza, che raggruppa tutti i comuni della zona. Nel 2001, quando il governo di Silvio Berlusconi decreta l’emergenza sbarchi, il consorzio dei comuni presieduto da Castiglione diventa, infatti, ente attuatore del centro richiedenti asilo. Ed è proprio Castiglione a spingere affinché il Cara di Mineo nominasse come esperto Luca Odevaine, ex vice capo di gabinetto di Walter Veltroni in Campidoglio, coinvolto nell’inchiesta sulla Mafia Capitale della procura di Roma e finito in manette con l’accusa di corruzione aggravata. I rapporti di Odevaine con il Cara risalgono al 2011, ma il suo incarico viene prorogato ogni anno fino a quando i sindaco di Mineo Anna Aloisi, anche lei esponente del partito di Alfano, non lo rinnova fino al 2016: dopo l’arresto, però, il contratto di Odevaine verrà rescisso da Giovanni Ferrara, direttore generale del consorzio Calatino Terra di Accoglienza. “Era un esperto d’immigrazione” si giustificherà Castiglione, dopo che Odevaine finirà coinvolto nell’inchiesta Terra di Mezzo: e infatti, per gli inquirenti, l’ex vice capo di gabinetto di Veltroni era l’uomo che gestiva gli affari nel campo dell’immigrazione per la Mafia Capitale.
“Senza ambiguità, proprio in forza di quel ruolo che artatamente era riuscito a custodire, confidava la sua capacità di orientare i flussi dei migranti transitanti per Mineo, verso centri di accoglienza vettori di suoi privati interessi” scrivono i pm romani. Lo stesso Odevaine, intercettato, non fa mistero della sua influenza nel settore dei centri d’accoglienza, dato che oltre all’incarico di esperto del Cara di Mineo era anche membro del Tavolo di coordinamento nazionale sull’immigrazione, ovvero l’ente che valuta gli appalti per l’affidamento della gestione dei Cara. “Chiaramente stando a questo tavolo nazionale – diceva Odevaine, intercettato – e avendo questa relazione continua con il ministero, sono in grado un po’ di orientare i flussi che arrivano da giù, anche perché spesso passano per Mineo e poi vengono smistati in giro per l’Italia”. L’uomo della Mafia Capitale, voluto a Mineo da Castiglione, siede nella commissione che nel giugno scorso decide i vincitori della gara d’appalto per gestire il centro richiedenti asilo: un bando da 100 milioni di euro su cui pesa un ricorso all’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici presentato dalla cooperativa Cot Ristorazione di Palermo, azienda esclusa dalla gara, che però denuncia alcuni “paletti” che fanno pensare ad un bando “cucito addosso” ai vecchi gestori.
E infatti a vincere l’appalto, con appena l’1 per cento del ribasso, sono le stesse imprese che hanno gestito Mineo negli ultimi tre anni: c’è la Cascina Global Service, che fattura 310 milioni di euro l’anno ed è vicina a Comunione e Liberazione, e c’è la Pizzarotti spa di Parma, proprietaria delle 403 villette del Cara di Mineo, abbandonate dai militari statunitensi di stanza a Sigonella ma subito affittate al governo al modico prezzo di sei milioni di euro l’anno. L’unico cambiamento dal 2011 è l’azienda capofila dell’associazione temporanea d’imprese: oggi è il consorzio Casa della Solidarietà, mentre nel triennio precedente era la Sisifo, che è comunque rimasta tra i gestori del Cara. E che ogni mese paga l’affitto della sua sede catanese a Giovanni La Via, eurodeputato del partito di Alfano, grazie alle 56mila preferenze raccolte in Sicilia dal sottosegretario Castiglione, l’uomo che voleva Odevaine come esperto del Cara.