“Dal punto di vista tecnico tutto è possibile, ma quello che conta è la volontà politica. E l’intenzione del governo è che le nuove regole non valgano per i dipendenti pubblici. Se è necessario, lo chiariremo nei prossimi passaggi del provvedimento”. Il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, si è così unito al coro dell’esecutivo e ha tagliato la testa al toro spostando il tema da un ambito squisitamente tecnico a uno politico e il messaggio è molto chiaro: per il governo Renzi gli statali non si toccano. Per ora. “Le riforme non si fanno con i blitz. Se si vogliono applicare queste norme anche a loro bisognerà avviare un processo di confronto e coinvolgere anche il ministro competente, Marianna Madia – ha detto al Corriere della Sera – Vale la volontà politica che è quella di trattare la materia in un altro provvedimento, la delega sulla Pubblica amministrazione. In ogni caso, il decreto ora passa alle Camere per i pareri e poi torna in Consiglio dei ministri. Piccoli aggiustamenti sono possibili”.
Molto piccoli, però, se è vero ciò che dice il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, secondo il quale “i punti fondamentali sono definiti. Formalmente lo schema di decreto delegato è modificabile. Le Commissioni parlamentari esprimeranno i loro pareri e le loro proposte. Il governo ha la facoltà di accoglierle o meno. La competenza è del governo”. La sostanza, però, “direi che è quella e quella rimarrà. Il decreto sul contratto a tutele crescenti e quello sugli ammortizzatori sono coerenti con la legge delega approvata dal Parlamento”, ha dichiarato a Repubblica. Poletti ha escluso quindi che ci siano spazi di trattative con Ncd e la sinistra del Pd: “Trattative proprio no. Le Commissioni esprimeranno un parere e il governo lo valuterà. Ripeto: i punti fondamentali sono definiti. Nel caso dell’opting out (la possibilità di escludere il reintegro per i licenziamenti ingiustificati, ndr) esiste anche un problema di coerenza con la legge delega. Si configurerebbe un possibile eccesso di delega“. Quanto al vero nodo della questione, cioè l’estensione delle nuove regole ai licenziamenti collettivi, destinata a creare un doppio binario, uno per i nuovi e l’altro per i vecchi assunti con un’evidente disparità di trattamento, secondo Poletti è stata decisa per “un’esigenza di coerenza” dell’impianto normativo. “Poiché i licenziamenti collettivi sono sempre motivati con ragioni di ordine economico o organizzativo – ha sottolineato – sarebbe stato incoerente escludere il reintegro per quelli individuali e non anche per quelli collettivi. Questa è la ragione. E, comunque, la procedura generale per i licenziamenti collettivi rimane quella che è stata sempre in vigore”.
Sul tema, invece, dell’estensione del Jobs Act al pubblico impiego, Poletti si era già espresso sabato sostenendo che la nuova normativa non vale anche per gli statali “perché tutta la discussione sulla legge delega è stata fatta sul lavoro privato e quindi non è applicabile al pubblico impiego”. Secondo il ministro Maurizio Sacconi e Pietro Ichino “dicono cose diverse ma per quello che posso dire io la discussione che abbiamo fatto sulla legge delega è stata una discussione che è stata fatta sul lavoro privato. Peraltro se si vuol discutere del lavoro pubblico in Parlamento c’è una legge delega sulla Pubblica Amministrazione. Eventualmente lì si può discutere. Ma in questo momento direi che le cose stanno in questi termini”, aveva detto ad Affaritaliani.it. Concetto ribadito, seppure con ampi giri di parole, anche dal premier Matteo Renzi, che domenica in un’intervista a Qn ha rimandato il caso degli statali al provvedimento Madia sostenendo che “sarà il Parlamento a pronunciarsi” e che “esiste giurisprudenza nell’uno e nell’altro senso. Ma non sarà il governo a decidere. A febbraio, quando il provvedimento sul pubblico impiego firmato da Marianna Madia verrà discusso in Parlamento, saranno le Camere a scegliere. Non mancherà il dibattito, certo”.
Non la pensa così Ichino, per il quale “le nuove regole saranno applicabili anche ai dipendenti pubblici. Tanto è vero che, quasi all’ultimo momento, è stata cancellata la norma che ne prevedeva espressamente l’esclusione”, come ha dichiarato il giuslavorista sabato al Corriere della Sera. “Il testo unico dell’impiego pubblico stabilisce che, salve le materie delle assunzioni e delle promozioni”, soggette al concorso, “per ogni altro aspetto il rapporto di impiego pubblico è soggetto alle stesse regole che si applicano nel settore privato”, ha aggiunto criticando le affermazioni del ministro Marianna Madia, secondo la quale gli statali sono esclusi, perché entrano per concorso: “Qualche volta anche i ministri sbagliano, concorso non significa inamovibilità. E sbaglia chi voleva l’espressa esclusione dei dipendenti pubblici, come la minoranza di sinistra del Pd. Il contratto a tutele crescenti costituisce l’unica soluzione possibile per il problema del precariato, anche nel settore pubblico. Il precariato è l’altra faccia dell’inamovibilità dei lavoratori di ruolo”.