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Ilva in amministrazione straordinaria, decreto al Quirinale. Mancano solo i soldi

Entro tre mesi asset e dipendenti dell'impianto saranno ceduti a una società di proprietà pubblica che, per l'ambientalizzazione, avrà accesso a 1,2 miliardi sequestrati alla famiglia Riva. Peccato che della somma siano disponibili al momento solo 164 milioni, quindi meno del 15 per cento
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L’amministrazione straordinaria dell’Ilva di Taranto, che partirà formalmente dopo il 14 gennaio, nei prossimi 3 mesi cederà in affitto gli asset dell’impianto e i rapporti di lavoro con i 16.000 dipendenti ad una società pubblica di nuova costituzione. Ad ufficializzare i contenuti del decreto Taranto approvato dall’esecutivo il 24 dicembre scorso, non ancora reso pubblico e atteso al Quirinale entro lunedì sera per la firma, è stato il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, nel corso di un incontro con i sindacati. Che è servito a chiarire definitivamente quanto siano fragili le basi economiche dell’operazione. La newco, ha spiegato infatti il ministro, avrà accesso a 150 milioni di euro provenienti da un contenzioso della vecchia Italsider, ma custoditi in titoli, a finanziamenti della Bei e, al solo scopo di ambientalizzazione, a 1,2 miliardi sequestrati alla famiglia Riva. Peccato che quei soldi siano stati sequestrati nell’ambito di un’inchiesta tuttora in corso e, soprattutto, che della somma totale siano disponibili al momento solo 164 milioni, quindi meno del 15 per cento.

Un dato di cui il governo è senz’altro a conoscenza, visto che a renderlo noto è stato lo stesso commissario straordinario dell’Ilva, Piero Gnudi, nel corso di un’audizione alla Camera del 17 dicembre scorso. “Gli altri sono in Svizzera”, aveva spiegato alla Commissione attività produttive una settimana prima dell’approvazione del decreto aggiungendo che “stiamo trattando con le autorità Svizzere per il rientro. Si tratta comunque di soldi detenuti legalmente perché erano stati scudati”. Gnudi aveva quindi spiegato di confidare “di avere i soldi sequestrati ai Riva” e vincolati per legge all’attuazione del piano ambientale, motivando la speranza anche con il fatto che il ricorso fatto da Adriano Riva “non è sul merito ma” su pregiudiziali di costituzionalità. Inoltre la banca “Ubs si è detta pronta a inviare questi soldi in Italia, mentre Berna prima di dare il via libera al trasferimento voleva chiarezza. Adesso c’è una sentenza di un tribunale italiano che la Svizzera intende rispettare”, aveva concluso Gnudi. Non resta quindi che sperare che le intenzioni si traducano in fatti, ma per ora il denaro non c’è.

Non a caso le risorse per l’ambientalizzazione dell’Ilva avranno gestione separata dal resto della gestione finanziaria e industriale, come ha precisato il segretario generale Fim Cisl Marco Bentivogli dopo l’incontro. La newco pubblica avrà lo scopo di risanare e nel periodo massimo di 24-36 mesi dovrà affittare o vendere a soggetti terzi (finanziari o industriali). Fermo restando il fantasma di prevedibili azioni legali da parte dei Riva e dei loro soci di minoranza, gli Amenduni, che sono pronti a contestare l’esproprio che, a differenza di un caso simile come quello della Parmalat, avviene prima che l’azienda sia formalmente fallita. Altrettanto prevedibile, quindi, che i futuri compratori chiederanno specifiche garanzie allo Stato per evitare di doversi trovare, a distanza di anni, a dover fronteggiare un paradossale risarcimento ai Riva.

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