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Terrorismo e bambini: i bersagli sono sempre loro

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Ogni anno, quando inevitabilmente il vecchio finisce e il nuovo si avvicina, è il momento di bilanci: ci si guarda indietro per una valutazione dell’accaduto e si guarda al nuovo orizzonte lanciandosi in propositi, più o meno azzardati, per il futuro.

Visto che qui ci si occupa soprattutto di terrorismo, una considerazione che “vale doppio” – lo vedremo tra poco perché – è legata all’attacco alla Scuola pubblica militare di Peshawar (Pakistan), lanciato il 16 dicembre 2014 dai Talebani, in cui persero la vita 132 ragazzi e 121 restarono feriti.

Pakistan, attentato alla scuola
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Si tratta di un attacco che “vale doppio” rispetto alle nostre considerazioni perché appunto considerato nel momento di valutazione di fine anno – in cui passato e futuro si legano nell’attimo del capodanno – e perché il target dell’attacco è concretamente il futuro di ogni popolo: i suoi giovani!
Ma non è tutto qui.

Nella prospettiva del 2014 che si chiude, i 132 ragazzi ammazzati a Peshawar sono seguiti da altri 16, nel medesimo giorno, dovuti a un attacco a un bus scolastico a Radaa in Yemen. Ma otto mesi prima, il 14 aprile, alla scuola secondaria governativa di Chibok in Nigeria i Boko Haram avevano sequestrato 276 studentesse presentatesi agli esami. Di queste 219 sono attualmente “missing”, buona parte convertite forzosamente all’Islam e forzosamente sposate o rivendute come mogli a 2.000 dollari “per capo”.

Nel mezzo dei due eventi, altri bambini sono rimasti vittime di attacchi terroristici nel West Bank e Israele (almeno 5) e in Pakistan (8). E comunque non contiamo le frequenti intimidazioni che soprattutto i gruppi radicali fanatici del qaedismo rivolgono ai giovani, soprattutto le giovani, che frequentano le scuole nei paesi islamici.

Insomma, il 2014 mostra come studenti e studentesse siano spesso target, bersagli, accuratamente scelti dalle azioni dei terroristi.

Dal punto di vista mediatico ciò è dirompente all’eccesso: i media occidentali vanno alla ricerca del bambino vittima – spesso dimenticando anche le altre vittime – perché fa cassetta: leggete i titoli dei media e anche quando i bambini sono vittime accidentali sembra che siano sempre i destinatari dell’azione. Ciò è spia sia di una cultura deteriore della comunicazione mediale spettacolare e “di pancia”, ma anche si lega a filo doppio alla lettura – tutta occidentale – di una infanzia sempre più allungata che deve essere necessariamente vissuta all’insegna del gioco e della gioia. Dimenticandosi che questi sono invece segni del lusso non condiviso dal resto del mondo, dove i bambini – solo anagraficamente parlando – a 12 anni lavorano, combattono e si sposano.

Detto questo, che evidenzia come un dato apparentemente oggettivo e misurabile in anni (l’infanzia) sia invece una situazione culturalmente e socialmente costruita… con le difficoltà interpretative che ne seguono, c’è da chiedersi come una parte del mondo castri le possibilità del proprio futuro attaccando i bambini. Senza bambini è un fatto che il futuro sia già morto!

D’altra parte a Boko Haram, Talebani e qaedisti vari, il futuro esiste solo se replica il passato codificato dal dogma senza possibilità evolutiva: il bambino e la bambina devono essere educati alla conservazione dei ruoli previsti, senza innovazione maligna! Esattamente il contrario di ogni principio educativo che dovrebbe dare a ciascuno gli strumenti per sviluppare i propri talenti, secondo piste individuali, e non nozioni da replicare all’interno di situazioni immodificabili.

Ammazzare studenti, intimorire famiglie e bloccare l’educazione scolastica per il terrorismo islamico vuole dire rigurgitare il futuro dai bocconi premasticati della dottrina che vuole congelare la storia.

Ne ho incontrati tanti di quei bambini e ragazzi nelle scuole e nelle università dell’Afghanistan, dell’Iraq, della Libia… con tanti di loro ho lavorato, e tutti avevano in comune una tensione al cambiamento e al voler essere protagonisti della loro storia, dimostrando la vera capacità di lottare per il cambiamento, non per il mantenimento. E ci riusciranno ma a prezzo della vita di molti di loro. Perché quei maledetti continueranno a colpire scuole e studenti, e quando i media non ne parleranno sarà perché non lo avranno saputo, non perché non sarà successo.

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