Che la Calabria sia stata indicata, secondo il più recente rapporto Svimez, quale regione più povera d’Italia, è dato oramai noto. Ma nel parlare di povertà spesso si tende, un po’ per mancanza di tempo e un po’ per mancanza d’informazioni a riguardo, a non trasformare questo concetto, questa mera idea, in oggetti reali, concreti e tangibili, lasciando che l’astrattezza della parola non trovi poi puntuali corrispondenze con la vita d’ogni giorno. Occupandoci noi in questa sede di musica e, per proprietà transitiva, di realtà ad essa limitrofe quali il teatro o, più in generale, lo spettacolo, non dovremmo dunque meravigliarci se scoprissimo che, anche in questo campo, la Calabria si assesta decisamente quale fanalino di coda del Bel Paese, e questo non certo sulla base di sorde quanto astratte convinzioni d’ordine precostituito, ma secondo una serie di sonori dati a dir poco allarmanti. Partiamo dunque da alcuni numeri relativi al territorio calabrese: zero sono le Fondazioni Lirico-Sinfoniche, ovvero i teatri d’opera che ricevono i contributi del FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo); zero sono le ICO (Istituzioni Concertistico Orchestrali); unico Teatro di Tradizione è invece il Rendano di Cosenza che, come anche il Cilea di Reggio Calabria, attende ancora un sito web dedicato dal quale trarre informazioni di vario genere circa attività, programmi e quant’altro sia utile alla loro frequentazione: per ora, i rispettivi siti web comunali sono le uniche piattaforme dalle quali trarre qualche notizia circa i propri teatri più importanti.
I maggiori teatri della regione spesso lasciano che intere stagioni restino senza alcun genere di programmazione, sia che si tratti di musica, sia che si tratti di prosa o di balletto
Ma non è tutto (a dire il vero non saremmo che all’inizio): i maggiori teatri della regione spesso lasciano che intere stagioni restino senza alcun genere di programmazione, sia che si tratti di musica, sia che si tratti di prosa o di balletto. Oltre a quanto già esposto andiamo ora ad aggiungere un altro elemento, precipuo del settore di cui ci occupiamo in questa sede, ossia l’auditorium, che nel discorso qui affrontato si erge quasi a emblema di una storica disaffezione della classe politica calabrese verso l’arte musicale e più in generale il mondo della cultura. Premettendo cosa si intenda specificamente con la parola auditorium, ovvero sala progettata per l’ascolto e/o la registrazione di musica, esistono in Calabria diverse sale congressi, (anche abbastanza ampie come ad esempio l‘Auditorium Calipari di Reggio Calabria e l‘Auditorium Guarascio di Cosenza), che vengono appunto chiamate auditorium sebbene non presentino molte delle caratteristiche precipue delle moderne strutture del genere e pur non potendo, a parte sporadici eventi isolati, vantare alcun genere di programmazione musicale. Questo accade nonostante tutte le altre regioni dello stesso, sfortunato e sventurato, sud Italia possano vantare svariate strutture del genere conformi ai più moderni standard acustico-architettonici ma, soprattutto, esibenti programmi o un continuum di iniziative d’ordine musicale.
“Lo Stato considera l’attività lirica e concertistica di rilevante interesse generale, in quanto intesa a favorire la formazione musicale, culturale e sociale della collettività nazionale”
Potremmo, ad esempio, rivolgere il nostro pensiero agli auditorium della RAI presenti sia a Napoli che a Palermo, al meraviglioso auditorium progettato a Ravello, in costiera amalfitana, dall’architetto Oscar Niemeyer, all’auditorium Nino Rota di Bari (da poco completamente restaurato e di prossima inaugurazione), come anche all’Auditorium Casa Cava di Matera, ricavato nel tufo e inserito addirittura nel circuito dei “Centri per la creatività” del progetto Visioni Urbane della regione Basilicata. Gli esempi sono tanti ma a orientare il nostro interesse non sono tanto le liste quanto la consapevolezza dei limiti, e senza voler fare troppa poesia potremmo semplicemente citare quanto chiunque potrà leggere andando a spulciare sul sito del . Una collettività che a quanto pare, storicamente parlando, i vari governi succedutisi alla guida del paese hanno probabilmente considerato più interessante, dati i numeri, se da Napoli in su, e questo grazie anche (qui senza ombra di dubbio alcuno) alla mediocrità di una classe politica regionale completamente indifferente verso quelle che, in qualsiasi territorio dove l’economia sia florida e il livello occupazionale si attesti su livelli alti, sono causa, e non effetto, di una crescita economica e sociale: arte e cultura, cultura musicale innanzitutto. Da poco la Calabria ha cambiato, dopo regolare votazione, il proprio consiglio regionale, e alla guida della regione si è insediato, dopo la precedente esperienza fallimentare della giunta Scopelliti, il neo governatore Mario Oliverio, targato PD. Chissà che questa nuova giunta non riuscirà a porre al centro dei propri interessi quello di un’urgente quanto necessaria politica musicale di ampio raggio, chissà che per una volta arte e cultura non vengano considerate per quello che sono, ovvero beni di prima, e non ultima, necessità.