Buio fitto sulle risorse disponibili per l’attuazione del piano di risanamento ambientale. E molte perplessità sulla “immunità” da conseguenze amministrative e penali concessa al commissario straordinario – molto probabilmente lo stessi Piero Gnudi – che verrà incaricato dal governo di gestire l’Ilva durante l’amministrazione straordinaria. A due giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto ad hoc per il siderurgico di Taranto, spiegato solo a grandi linee da Matteo Renzi dopo il Consiglio dei ministri del 24 dicembre, è evidente che restano irrisolti diversi nodi finanziari e giuridici.
Di fatto il provvedimento che rafforza la legge Marzano sulle grandi imprese in stato di insolvenza per farvi rientrare lo stabilimento di Taranto è un guscio (quasi) vuoto. Che andrà riempito con successivi decreti ministeriali, con l’esito della perizia a cui è affidato il compito di stabilire il canone di affitto o il prezzo di cessione ai privati e con soldi freschi. In compenso, all’orizzonte ricompare il gruppo ArcelorMittal, che dopo una prima offerta non vincolante presentata in tandem con Marcegaglia si era defilato. Secondo quanto riporta Il Messaggero, a ridosso del Cdm si è tenuto al ministero dello Sviluppo un vertice segreto tra il responsabile finanziario del colosso indiano, il ministro Federica Guidi, il commissario Gnudi e Andrea Guerra, neo consulente strategico di Renzi. Al centro dell’incontro, l’ipotesi che durante la fase di nazionalizzazione Mittal possa scendere in campo come advisor dello Stato, per poi acquisire la maggioranza del capitale dopo il risanamento.
I soldi fantasma e i fondi Ue ancora da sbloccare – Il punto interrogativo più rilevante riguarda le risorse a disposizione. Perché i circa 2 miliardi di euro che il premier ha quantificato come investimento complessivo per Taranto sono tutto meno che a portata di mano. Per ora gli unici soldi che sembrano poter arrivare a breve sono i circa 150 milioni che Fintecna, società interamente pubblica che fa capo alla Cassa depositi e prestiti, metterà a disposizione come liquidazione delle obbligazioni frutto della privatizzazione dell’Ilva portata a termine nel 1995. All’articolo 3, dedicato alle “disposizioni finanziarie”, si legge poi che il giudice verserà “in una contabilità speciale intestata al commissario straordinario” le somme “sottoposte a sequestro penale, nei limiti di quanto costituisce oggetto di sequestro, anche in relazione ai procedimenti penali diversi da quelli per reati ambientali o connessi all’attuazione dell’autorizzazione integrata ambientale”. Si tratta, come è noto, degli 1,2 miliardi sequestrati alla famiglia Riva, azionista con il 90%, a fronte dell’accusa di frode fiscale, riciclaggio, intestazione fittizia e truffa ai danni dello Stato. Ma, come reso noto dal commissario straordinario dell’Ilva, Piero Gnudi in un’audizione alla Camera, solo meno di 200 milioni sono stati effettivamente recuperati, mentre “gli altri sono in Svizzera”. E si sta ancora trattando con Lugano per riportarli in Italia. Renzi aveva poi anticipato che altri 375 milioni sarebbero stati “dirottati” sull’Ilva prendendoli da fondi Ue del Piano di azione e coesione e del Fondo europeo di sviluppo regionale. Ma il decreto non fa riferimento diretto a quella cifra: sempre l’articolo 3 affida al Cipe il compito di assegnare ulteriori risorse al gruppo “a valere sul Fondo di sviluppo e coesione” ma non le quantifica.
Peacelink: “Nessuna traccia dei soldi per tumori infantili” – Non per niente il presidente di Peacelink Taranto Alessandro Marescotti sottolinea che “leggendo in lungo e in largo il testo del decreto non si trova neppure un numero relativo agli stanziamenti. Questa è la sorpresa di chi ha letto con attenzione il decreto che Renzi definisce “il primo dell’anno per salvare azienda e cittadini”. Quindi i due miliardi per Ilva e per Taranto dove sono?”. D’altronde “se fossero stati stanziati due miliardi aggiuntivi per Taranto, già disponibili, il decreto non sarebbe passato per mancanza della copertura finanziaria”. Nessuna traccia nemmeno dei 30 milioni di euro per la ricerca sui tumori infantili a Taranto. “Renzi si è fatto pubblicità gratis sulla sofferenza dei bambini. E tanti italiani hanno abboccato ad una notizia farlocca”, è la conclusione di Peacelink. D’accordo Legambiente, che rimarca anche “il duplice colpo inferto alle tempistiche stabilite per l’attuazione del piano ambientale Ilva e, quindi, dei provvedimenti previsti dall’Aia. Che, è bene ricordarlo, erano già stati oggetto di precedenti proroghe rispetto alle scadenze originariamente fissate”. In particolare, nel nuovo decreto “si stabilisce invece che il Piano si intende attuato se entro il 31 luglio 2015 sono realizzate, almeno nella misura dell’80%, le prescrizioni in scadenza a quella data. Al di là del dato quantitativo che già contiene una riduzione del 20%, pari a un quinto del totale, colpisce l’assoluta assenza di elementi di valutazione qualitativi e, considerata la crisi delle finanze aziendali, la presumibile esclusione degli interventi più onerosi e, quindi, rilevanti”.
Anche l’acquirente o affittuario avrà un salvacondotto – Al centro della scena restano poi le polemiche sulla sostanziale immunità concessa al commissario straordinario, per il quale “le condotte poste in essere in attuazione del Piano” non potranno dar luogo ad alcuna responsabilità penale o amministrativa. Per di più, a leggere bene il decreto si scopre che la stessa manleva è garantita al futuro acquirente o affittuario. Infatti il comma 10 dell’articolo 2 dispone che “fino alla data di cessazione del commissariamento ovvero a diversa data fissata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri il riferimento alla gestione commissariale di cui al comma 9 bis dell’articolo 1 del decreto legge n.61 si intende riferito alla gestione aziendale da parte del commissario e dell’avente titolo, sia esso affittuario o cessionario”. Il decreto in questione è quello che ha stabilito il commissariamento dell’Ilva. E al comma 9 dell’articolo 1 dice sostanzialmente che se il commissario “garantisce la progressiva adozione delle misure previste dall’Aia” non rischia nulla. Perché ciò equivale a “rispettare i modelli di organizzazione dell’ente in relazione alla responsabilità dei soggetti in posizione apicale per fatti di rilievo penale o amministrativo” previsti dal deceto sulla responsabilità amministrativa delle società.
La proposta di “consulenza” di ArcelorMittal – Per quanto riguarda l’identità dei futuri compratori o affittuari, stando al retroscena rivelato da Il Messaggero ArcelorMittal non è fuori dalla partita come era sembrato quando il gruppo indiano aveva omesso di presentare un’offerta vincolante per il siderurgico. Il quotidiano romano sostiene che quello che è attualmente leader mondiale nella produzione di acciaio vuole evitare che altri pretendenti mettano le mani sui 5,7 milioni di lega di ferro e laminati prodotte nel 2013 dall’Ilva. Di conseguenza nel corso di un incontro riservato in via XX Settembre svoltosi prima di Natale il direttore finanziario Aditya Mittal avrebbe messo sul tavolo la proposta che il colosso indiano faccia da “consulente” del governo e, dopo la nazionalizzazione, acquisisca una quota di minoranza dell’Ilva. In seguito l’investimento verrebbe incrementato fino ad acquisire la maggioranza. L’operazione passerebbe attraverso la nascita di una nuova società (newco) che prenderà in affitto i rami d’azienda produttivi. L’esecutivo, però, non ha ancora sciolto le riserve. Si è solo impegnato a “studiare la situazione” e valutare se accettare l’offerta degli indiani.