Si conoscevano da anni, erano in contatto tra loro. Le autorità francesi sapevano bene chi fossero e li monitoravano da tempo. Tutti e tre. Cherif Kouachi, Said Kouachi, Amedy Coulibaly. I primi due, fratelli, hanno firmato il massacro nella redazione di Charlie Hebdo il 7 gennaio e venerdì si sono barricati in una fabbrica di Dammartin-en-Goele prima di essere uccisi in un blitz. Il terzo, lo stesso giorno, ha ucciso una donna poliziotto a Montrouge e venerdì si è asserragliato con 5 ostaggi nel negozio kosher di di Porte de Vincennes, a sud di Parigi. I tre uomini che hanno seminato il terrore in Francia erano legati l’un l’altro, oltre che dall’ideologia della jihad, anche da frequentazioni di lunga data. Si ricompongono pian piano i puzzle delle identità dei tre attentatori, mentre emerge una circostanza che, se confermata, potrebbe rivelarsi estremamente imbarazzante per le autorità francesi: secondo I-Telé, la tv all news di Canal Plus, il 6 gennaio i servizi segreti algerini avevano avvertito Parigi dell’imminenza di un attacco terroristico. Solo 24 ore dopo Cherif e Said Kouachi hanno massacrato la redazione di Stéphane Charbonnier e scatenato la tre giorni di terrore che ha paralizzato la Francia.
Cherif Kouachi, il discepolo di Djamel Beghal
Chérif Kouachi, 32 anni, fattorino in una pizzeria e aspirante rapper, orfano dato in affidamento e cresciuto a Rennes, nel nordovest della Francia, alla fine degli anni 90 torna con il fratello maggiore Said a Parigi dove, indignato dalla guerra in Iraq e attirato da idee e posizioni estremiste, abbandona il suo stile di vita occidentale e abbraccia l’Islam. Tutto nasce dall’incontro con Farid Benyettou, giovanissimo predicatore che lo accoglie nella sua organizzazione, Buttes Chaumont, impegnata a reclutare giovani musulmani dal 19° arrondissement di Parigi per i campi di battaglia dell’Iraq. “Farid mi ha detto che i testi sacri dimostrano i benefici di attentati suicidi – racconta Cherif nel 2005 intervistato dagli autori di un documentario – nei testi c’è scritto che morire come un martire è una cosa positiva“. Nel filmato Chérif appare come un giovane alto e magro, con un cappello da baseball, che improvvisa un brano rap e balla circondato da un gruppo di amici. Se gli autori del filmato lo descrvono come “un fan della musica rap più incline a uscire con ragazze carine che a frequentare la moschea”, dopo l’incontro con Benyettou, tutto cambia: Cherif, come tanti altri,inizia a prepararsi al salto verso i combattimenti sul campo, verso il martirio. L’obiettivo è andare a combattere in Siria, ma Cherif non riuscirà a partire, fermato prima del viaggio dalla polizia criminale francese. Alla fine del processo Kouachi viene condannato a tre anni: resta in carcere dal 29 gennaio 2005 all’11 ottobre del 2006, nel penitenziario di Fleury-Mérogis (Essonne).
E’ in cella che avviene la sua radicalizzazione: viene arruolato da Djamel Beghal, franco-algerino incarcerato per il suo importante ruolo in Al Qaeda, seguace di Abu Hamza, l’ex imam radicale della moschea londinese di Finsbury Park estradato dalla Gran Bretagna agli Usa. Beghal, condannato a dieci anni per un complotto, poi sventato, che mirava a compiere un attentato contro l’ambasciata americana a Parigi nel 2001, faceva proseliti per gli estremisti takfir, una setta all’interno della comunità salafita e stava cercando volontari per una nuova rete terroristica. Il carcere rende Cherif più duro e intransigente. Il ragazzo, ha raccontato a Le Parisien il suo ex avvocato Vincent Ollivier, si fa crescere la barba e diviene chiuso e indifferente. Una volta fuori dalla prigione, all’inizio del 2009, viene assunto da un supermercato in un sobborgo di Parigi, dove lavora per sei mesi. Presto attira però nuovamente l’attenzione delle autorità: il 25 maggio del 2010 – riporta Le Monde – torna in carcere, sospettato di aver preso parte ad un piano di evasione di Smaïn Ait Ali Belkacem, mente dell’ondata di attentati in Francia del 1995. A ottobre esce di nuovo dal carcere, liberato per mancanza di indizi. La Jihad rimane la sua meta: secondo alcune informazioni provenienti da fonti investigative, Cherif avrebbe fatto alcuni viaggi in Siria nei mesi passati, partecipando ai combattimenti nelle formazioni del Califfato islamico.
Said, addestrato da Al Qaeda in Yemen
Anche il maggiore dei due fratelli, Said, 34 anni, era ben noto alle autorità. Disoccupato e residente della città di Reims, era “alla periferia” delle attività illegali del fratello, ha spiegato lo stesso ministro dell’Interno francese, Bernard Cazeneuve. Il suo addestramento è avvenuto nello Yemen, dove si era recato nel 2011 per raggiungere i militanti di Al Qaeda nella penisola arabica (Aqap), uno dei gruppi più attivi tra quelli affiliati ad Al Qaeda. Non è chiaro se Said abbia mai incontrato Anwar Al-Awlaki, l’imam americano-yemenita legato ad Al Qaeda ed ucciso da un drone Usa nel 2011.In Francia l’uomo frequentava regolarmente una sala preghiere a Reims ma, secondo l’imam locale, Abdul-Hamid al-Khalifa, Said era un tipo solitario: non intratteneva rapporti con altri fedeli, indossava abiti tradizionali della regione del Maghreb, arrivava tardi per le preghiere e usciva non appena erano finite. Come quello del fratello, hanno reso noto fonti del governo Usa, anche il suo nome figurava in due database di sicurezza degli Stati Uniti, uno dei quali altamente riservato chiamato Tide che contiene informazioni su 1,2 milioni di possibili sospetti terroristi e uno più piccolo che è una “no-fly list” tenuta dall’agenzia Terrorist Screening Center.
Amedy Coulibaly, il ragazzo della banlieue che incontrò Sarkozy
Anche Amedy Coulibaly, 33 anni, era già noto ai servizi dell’antiterrorismo francese: “Sapete chi sono! Sapete chi sono!”, ha gridato per due volte ai poliziotti che presidiavano il supermarket kosher di Parigi in cui aveva preso diversi ostaggi prima di essere ucciso. L’uomo aveva un forte legame con Cherif Kouachi: come il minore due due fratelli, scrive Le Monde, era fra i principali discepoli di Djamel Beghal. I servizi sapevano che i due uomini si recavano regolarmente a trovare Beghal, a cui era stato imposto il soggiorno obbligato a Murat, nella regione centro-meridionale di Cantal. E come Cherif era stato arrestato e condannato nel 2010 per aver fatto parte del gruppo che aveva elaborato progettato l’evasione di Belkacem. Del gruppo faceva parte anche Hayat Boumeddiene, compagna di Coulibaly: i due si sono anche recati assieme a trovare Beghal. Secondo un articolo di Le Parisien datato 15 luglio 2009, Coulibaly, che allora aveva 27 anni, feceva parte di una delegazione di nove persone che seguivano una formazione professionale e che avrebbero dovuto incontrare l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy, in visita a Grigny, banlieue di Parigi. “Incontrarlo di persona è impressionante – disse allora Coulibaly al giornalista che gli chiedeva un commento alla vigilia della visita – al limite il presidente potrebbe aiutarmi a trovare un posto…”. Nell’articolo non si faceva cenno né alla fedina penale già parecchio appesantita di Coulibaly, né alla sua appartenenza a gruppi di musulmani radicali. Il giovane era reduce da un anno e mezzo di carcere per spaccio di droga.