Tiziano Renzi avrebbe dovuto comunicare il trasferimento della sede della sua azienda, la Chil Post, da Firenze a Genova alla finanziaria Fidi Toscana, come prevede lo statuto del fondo di garanzia da cui ha ricevuto i fondi per coprire parte dei debiti contratti. Il cambio di regione avrebbe ovviamente comportato la decadenza del beneficio. Per carità: si sarà sicuramente trattato di una dimenticanza. Il dato emerge dagli atti custoditi in Regione relativi all’azienda di casa Renzi, poi fallita e per cui il padre del premier è indagato per bancarotta fraudolenta dalla procura ligure. E non è l’unico elemento interessante.

RICOSTRUENDO la vicenda emerge che la Chil è una delle pochissime aziende per cui il ministero dell’Economia ha coperto il fondo di garanzia toscano. Creato nel febbraio 2009 per volere dell’allora governatore Claudio Martini e finalizzato ad aiutare le imprese regionali ad affrontare la crisi economica, il fondo “emergenza economia misura liquidità” in cinque anni ha sottoscritto garanzie per un miliardo e 126 milioni di euro a 5.687 aziende toscane. E ne ha dovuto effettivamente elargire solamente 16 milioni di euro. Nulla, rispetto alla cifra complessiva garantita. Di questi 16 milioni lo Stato, attraverso il fondo centrale di garanzia costituito presso il Mef, ha restituito a Fidi Toscana appena un milione di euro, tra cui proprio i 236.803,23 deliberati a giugno 2014. Ed è così che lo Stato guidato da Renzi ha pagato parte del debito della società di casa Renzi.

A spiegare l’iter seguito dalla Chil Post è Simonetta Baldi, dirigente della Regione responsabile del settore politiche orizzontali a sostegno delle imprese, l’ufficio che gestisce il fondo di garanzia e tiene i rapporti con Fidi Toscana, la finanziaria controllata per il 49% dall’ente guidato da Enrico Rossi. Baldi non svela nulla: si limita a confermare le informazioni in nostro possesso. “Il fondo è stato creato nel febbraio 2009 e la Chil è stata tra le prime a rivolgersi a noi appena un mese dopo” ed è stata “anche tra le prime ad andare in sofferenza”, ricorda Baldi. Di “5.687 aziende che sono ricorse a noi non sappiamo quante poi sono fallite ma decisamente poche” anche perché “il fondo ha funzionato molto bene per la quasi totalità delle imprese”. Su un miliardo e 200 milioni garantiti “siamo intervenuti per appena 16 milioni, come sa”. Baldi conferma anche le cifre ricevute dal ministero dell’Economia: “Sì, poco più di un milione di euro”. E spiega che non è affatto scontato che il rimborso avvenga, “anzi”. Funziona così: “Al ministero dell’Economia c’è il fondo centrale che serve come contro-garanzia ma può essere attivato solo a determinate condizioni” e comunque viene rimborsato “con tempi piuttosto lunghi, tra il pagamento che effettuiamo noi per l’azienda e quello che riceviamo dal Mef c’è un gap di anni”. Per la Chil Post “sono arrivati in sei mesi, sì. Ma è stata una delle prime pratiche a essere aperta e ad andare in sofferenza”.

SECONDO il regolamento, inoltre, la Chil Post non avrebbe potuto beneficiare del fondo di garanzia perché nel frattempo ha cambiato sede e proprietà. Baldi, ancora una volta, conferma: “C’è stato un difetto di informazione, i passaggi di proprietà Fidi Toscana li ha saputi successivamente”, dopo il fallimento. Va detto che la società non ha cambiato partita Iva o forma, rimanendo una srl, ma “se ricevessi una domanda da un’impresa di Genova gli dico di no, ovviamente”, garantisce Baldi. Quando la Chil fece domanda era una società toscana, quindi al momento dell’ammissione alla garanzia l’impresa aveva tutte le caratteristiche in regola.

È IL 16 MARZO 2009 quando Tiziano Renzi presenta richiesta e il 13 agosto 2009 l’operazione va in porto a garanzia di un mutuo con il credito cooperativo di Pontassieve da 496.717,65 euro. Dopo poco più di un anno, l’otto ottobre 2010, circa due milioni in beni e servizi – ritenuti dagli inquirenti genovesi la parte sana della Chil Post – sono ceduti alla Eventi 6 di Laura Bovoli, madre dell’ex rottamatore. Passa meno di una settimana e il 14 ottobre Tiziano Renzi trasferisce la società a Genova. Infine il 3 novembre cede l’intera proprietà della Chil Post a Gian Franco Massone, prestanome per il figlio Mariano, entrambi indagati con il padre del premier dalla procura ligure.

A questo punto però l’azienda è ormai priva di beni ed è gravata da un passivo di un milione e 150 mila euro, compresi 496 mila euro di esposizione con il Credito cooperativo di Pontassieve guidato dal fidatissimo amico del premier, Matteo Spanò. I debiti non vengono ripianati e Massone dichiara il fallimento della Chil Post nel 2013. Il mutuo viene ammesso al passivo dal tribunale e così Fidi Toscana onora la sua garanzia. Poi coperta dal Tesoro.

da il Fatto Quotidiano del 9 gennaio 2014

Aggiornamento dell’1 agosto 2016 – In data 30 luglio 2016 l’inchiesta per bancarotta a carico di Tiziano Renzi, nell’ambito del fallimento della Chil Post, è stata archiviata. Nelle motivazioni del gip del tribunale di Genova Roberta Bossi si legge che Renzi padre “non operò come socio occulto dopo la cessione del ramo d’azienda della Chil Post”. La bancarotta “fu determinata da altri” e “la cessione del ramo d’azienda non ha determinato la diminuzione del patrimonio ai danni dei creditori”.

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