La sospirata “bollinatura” della Ragioneria generale dello Stato sui decreti attuativi del Jobs Act varati il 24 dicembre è arrivata. Ma per ottenere il via libera – e superare l’impasse che impediva la loro trasmissione alle commissioni Lavoro per il parere obbligatorio – il governo Renzi ha dovuto accettare un compromesso: nel 2017 la Naspi, cioè la nuova prestazione che va a sostituire gli attuali sussidi di disoccupazione, durerà non più 24 mesi ma solo 18. Vale a dire che chi resterà senza lavoro in quell’anno e farà richiesta per ottenere l’assegno si vedrà garantire un reddito per un periodo inferiore rispetto a quello goduto dai disoccupati che vi accedono nel 2015 e 2016. In più, già da quest’anno l’indennità sarà ridotta progressivamente del 3% al mese dal quarto mese di fruizione, e non più dal quinto. L’esecutivo potrà scongiurare l’accorciamento previsto per il 2017, ma solo a patto di trovare 300-400 milioni da stanziare nella legge di Stabilità per il 2016 (quella cioè che sarà varata alla fine di quest’anno). Soldi ulteriori rispetto ai 2 miliardi messi sul piatto ad oggi. Non per niente, fin dall’inizio era apparso chiaro che la cifra trovata non sarebbe stata sufficiente per riformare l’intera struttura degli ammortizzatori sociali. Ora quell’impressione si rivela giusta: la coperta delle risorse è troppo corta.
Quella sulla durata dell’assegno Naspi non è l’unica modifica apportata ai decreti, prima ancora dell’esame delle Camere. E’ successo anche, infatti, che dal decreto sul contratto a tutele crescenti è stato stralciato l’articolo sul “contratto di ricollocazione“, quello che dovrebbe aiutare chi perde il lavoro in seguito a un licenziamento illegittimo a rientrare sul mercato, attraverso voucher da usare presso agenzie per il lavoro pubbliche o private accreditate. Insomma, uno dei pilastri di quelle “politiche attive per il lavoro” su cui l’Italia è tradizionalmente carente rispetto agli standard europei, visto che finora ha preferito offrire ai disoccupati sostegni economici “passivi”. Pare che quella norma sarà trasferita di peso nell’altro decreto, quello sugli ammortizzatori, il cui iter rischia di essere più lungo.
Nel frattempo, comunque, a venti giorni dal Consiglio dei ministri le commissioni parlamentari continuano ad attendere i testi, su cui dovranno esprimere un parere entro 30 giorni. Solo dopo i due decreti potranno approdare in Gazzetta ufficiale ed entrare in vigore, a questo punto non prima di metà febbraio .