L’
accordo fiscale tra Italia e Svizzera
cercato da anni senza successo è finalmente arrivato in porto. “Abbiamo l’accordo. Per la firma bisogna bisogna aspettare ancora qualche settimana, sarà probabilmente a metà febbraio”, ha detto
Vieri Ceriani, consigliere per gli Affari fiscali al Tesoro. Stando a quanto riporta
Il Sole 24 Ore, sono due i documenti che di fatto mettono nero su bianco l’intesa, anche se alcune questioni restano aperte e su altre serviranno successivi
interventi legislativi di Roma e Berna. Il primo introduce lo
scambio automatico di informazioni tra le autorità fiscali dei due Paesi sulla base degli standard Ocse a cui la Svizzera ha aderito lo scorso maggio, mentre l’altro, come ha spiegato al
Corriere del Ticino il segretario di Stato per le questioni finanziarie internazionali
Jacques de Watteville, “è una sorta di road map che contiene le soluzioni raggiunte per tutti gli altri dossier”, dalla
tassazione dei
frontalieri – su cui lo scorso autunno è iniziato un nuovo braccio di ferro – allo status di
Campione d’Italia. L’intesa sarà operativa non appena i Parlamenti dei due Paesi l’avranno ratificata e permetterà all’Agenzia delle Entrate di fare verifiche mirate anche sull’affidabilità delle informazioni di chi ha aderito alla voluntary disclosure.
Il passo non è da poco, considerato che il valore dei
depositi intestati a italiani aperti presso gli istituti elvetici è stimato in non meno di
130 miliardi di euro (100 miliardi secondo gli svizzeri). E tra quelli ci sono anche, per esempio,
gli 1,2 miliardi sequestrati ai Riva e che, stando all’ultimo decreto salva-Ilva, dovrebbero essere utilizzati dal commissario dell’amministrazione straordinaria per risanare il siderurgico.
Sempre che, appunto, si riesca a farli rientrare in Italia. Resta però sul tavolo la questione dell’autorizzazione per le
banche svizzere a operare in Italia. Roma, complici le pressioni degli istituti italiani, vuole
rimandare la decisione a un accordo quadro con la Ue, ma gli elvetici non ci stanno. Così si è trovata una soluzione di compromesso: sfruttare gli spazi di autonomia amministrativa concessi agli Stati membri per agevolare l’ingresso di operatori stranieri. Ma la decisione finale spetterà alla
Banca d’Italia e alla
Consob.
A sbloccare le trattative è stato il varo della legge sul rientro dei capitali, che ha anche introdotto nell’ordinamento italiano il reato di autoriciclaggio
La firma arriva a tre mesi dal
clamoroso scontro tra il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e l’omologa elvetica Eveline Widmer-Schlumpf e a oltre due anni dall’avvio – durante il governo di
Mario Monti – di un vero e proprio negoziato. All’epoca l’accordo era considerato dietro l’angolo, salvo poi arenarsi sul nodo del rischio riciclaggio. Nel febbraio 2013
Silvio Berlusconi ne parlava come se fosse a portata di mano. Nel giugno dello stesso anno fu l’allora premier
Enrico Letta ad affermare che il momento era propizio. Invece, nulla di fatto. Poi il varo della legge sul rientro dei capitali ha dato “l’incoraggiamento” necessario.