È uno dei cardini della riforma della scuola. Ma anche uno dei punti più contestati: la rivoluzione meritocratica delle carriere non piace agli insegnanti italiani. Almeno nella sua formula attuale, che prevede l’abolizione degli scatti d’anzianità in favore di bonus legati ai risultati. Ma l’ostilità della classe docente non è forse del tutto immotivata: il timore è che dietro lo slogan della meritocrazia si nasconda solo l’intenzione di risparmiare sugli stipendi di maestri e professori italiani. E alcuni calcoli sembrano confermare questa paura: con il nuovo meccanismo i docenti potrebbero andare a guadagnare oltre 10mila euro in meno nel corso della carriera. Anche i più bravi.
Con il nuovo meccanismo i docenti potrebbero andare a guadagnare oltre 10mila euro in meno nel corso della carriera
È una stima empirica che deve tener conto di molte variabili, a partire ovviamente dalle valutazioni conseguite dai docenti per il proprio operato. La grande novità è proprio questa: scatti di merito invece che di anzianità. Fino ad oggi gli anni di servizio erano l’unico criterio di avanzamento di carriera per i docenti: cinque gradoni, uno ogni sette anni circa fino all’ultimo oltre i 35 anni di servizio, con una differenza intorno ai 150 euro al mese in busta paga. Nei piani del governo questo sistema sembra destinato a scomparire: la progressione di carriera funzionerà in base a “scatti di competenza”. Ogni tre anni, il 66% dei docenti di ogni scuola che avrà maturato più crediti didattici, formativi e professionali (insomma, i migliori due/terzi degli insegnanti) avrà diritto ad un aumento fisso in busta paga, quantificato dal ministero in circa 60 euro netti al mese.
Ogni tre anni, il 66% dei docenti di ogni scuola che avrà maturato più crediti didattici, formativi e professionali avrà diritto ad un aumento fisso in busta paga
Sulla base di queste indicazioni è possibile fare un paragone tra il vecchio e il nuovo sistema. E alla fine della giostra, dopo 40 anni di carriera, il saldo rischia di essere negativo. Nel documento de “La Buona scuola”, il ministero sottolinea come “gli insegnanti giovani potranno avere il primo incremento stipendiale dopo soli tre anni, anziché dopo nove come oggi”. E che “dopo sei anni molti docenti avranno 120 euro netti in più al mese, alcuni avranno la metà in più, altri saranno rimasti con lo stipendio iniziale, esattamente come oggi”. Tutto vero. Se non fosse che un giovane docente appena arrivato potrebbe avere difficoltà a maturare subito lo scatto. E che alla lunga il meccanismo sembra non convenire: basta mancare un paio di salti nel corso del lungo percorso per vedere complessivamente depauperata la propria busta paga, come dimostra la tabella.
Pur risultando tra i migliori in dieci occasioni su dodici, il docente (un ottimo docente, quindi) in 24 anni su 40 guadagnerebbe meno che col vecchio sistema. E perderebbe complessivamente circa 12mila euro. Senza contare che per chi viene assunto non in coincidenza con l’inizio del triennio di valutazione non sarà immediatamente possibile concorrere allo scatto, bisognerà “aspettare l’onda” (cosa che può far perdere anche due anni di servizio). Di certo, con la riforma non ci saranno scatti fino a fine 2018, e questo permetterà allo Stato di risparmiare subito decine di milioni di euro (risorse che il Miur conta di utilizzare per rifinanziare il Fondo per l’offerta formativa).
Basta mancare un paio di salti nel corso del lungo percorso per vedere complessivamente depauperata la propria busta paga
Per questo l’ipotesi ha scatenato tante proteste. Non soltanto tra i sindacati, contrarissimi alla riforma, anche nella base del movimento. E persino in una fronda del governo, visto che in un documento del Pd di dicembre si parla della necessità di mantenere l’anzianità come criterio di progressione. Per conoscere il proprio futuro i docenti italiani attendono il prossimo decreto sulla scuola, in calendario per fine febbraio, che dovrà tradurre le parole in fatti. Non è detto che la soluzione proposta all’interno de “La buona scuola” resti invariata: le ultime indiscrezioni parlano di un sistema “misto”, che combini gli scatti per anni di servizio a quelli di merito. La seconda voce, però, dovrebbe restare preponderante. Lo confermano anche recenti parole del ministro Giannini: “È importante che il criterio del merito sia e rimanga dominante”, ha detto a dicembre in audizione in Commissione Istruzione, aggiungendo però che “l’idea di un azzeramento totale degli scatti di anzianità è un punto sicuramente negoziabile”. Resta da capire come e quanto.