Ai bordi della strada chiazze di neve gelata, sporche, si contendono spazio con i crateri anneriti delle esplosioni. Pervomaisk, Primo Maggio, è scritto sul cartello, anche quello crivellato di schegge d’obice, all’ingresso di questa città a pochi chilometri da Lughansk, la capitale della autoproclamata Repubblica Popolare del Lughansk, nella regione russofona del Donbass (guarda il video). Ci fermiamo in uno spiazzo circondato da palazzi di edilizia popolare, sette o otto piani, squadrati, di stile sovietico. La loro geometria monotona è interrotta, stravolta da squarci nelle mura che paiono eruttare colate di macerie fossilizzate. Uno degli squarci è talmente grande da attraversare la struttura lasciando intravedere dall’altra parte delle pareti annerite dal fuoco uno spicchio di cielo grigio.
“Lì viveva una madre con i suoi tre bambini…”. Si sono avvicinate quattro donne di mezz’età imbacuccate per il freddo. “Non è rimasto nulla di lei e dei suoi figli. L’esplosione li ha disintegrati tutti” ci dice, indicando la voragine, una di loro, Irina. Racconta senza che dalla sua espressione trapeli alcuna emozione. Dolore, commozione, paura, forse tutte le emozioni di Irina sono bruciate, ridotte in macerie come la città in cui continua a vivere. Prima della guerra contava 25mila abitanti, adesso ne sono restati meno di 8mila, la maggior parte ha cercato rifugio in Russia. Non c’è più elettricità, né acqua corrente. Centrale elettrica, acquedotto, tutto distrutto dai bombardamenti.
“Ma perché non ve ne andate, non fuggite?”. Irina scuote la testa rassegnata ed ostinata. “Questa è la nostra terra”. “Ma come fate a sopravvivere così?”. “I cosacchi ci portano il cibo quando ne hanno (leggi). Quando non ne hanno a sufficienza se ne privano per noi”. Tutta quest’area è difesa dalla Guardia Nazionale Cosacca della Grande Armata del Don. “Solo loro pensano a noi. L’Europa arma l’esercito ucraino che ci bombarda. Perché? Anche noi eravamo ucraini“. Lo scoppiettio ansimante di un motore interrompe lo sfogo di Irina. Un vecchio e scassatissimo camioncino entra nel cortile facendo lo slalom tra carcasse di auto bruciate, mucchi di immondizia e cumuli di macerie. Come attratti da un richiamo altri gruppi di donne escono dalle palazzine semidistrutte con in mano sporte di bottiglie e tanichette di plastica. Il camioncino si ferma. Sullo sportello, dipinti a mano, una stella rossa e il simbolo della pace.
Il conducente è ancor più vecchio del mezzo. Magro, il viso incorniciato da una folta barba bianca, sul capo una consunta bustina dell’armata rossa della seconda guerra mondiale. Saluta le donne con un sorriso e le aiuta a riempire bottiglie e taniche di acqua potabile dalla cisterna di plastica montata sul cassone del camion. La prima linea del fronte si trova poco al di là di queste palazzine. Una donna che spinge un passeggino con un bambino piccolo attraversa la strada spezzata ad una cinquantina di metri da una trincea protetta da tronchi d’albero, sacchetti di sabbia e da una garitta di travi di legno dalla quale spunta la canna di una mitragliatrice pesante. E’ questo l’avamposto più avanzato della difesa di Pervomaisk presidiato dall’armata cosacca.
Riparato dietro le mura di una casa distrutta c’è un gazebo di plastica. Sotto, in un barile arrugginito, brucia un po’ di legna. E’il turno di Roman di scaldarsi. Stende le mani intirizzite dal freddo sul braciere di fortuna godendosi un po’ di tepore e di silenzio. “Tre giorni che c’è silenzio…” ci dice abbozzando un sorriso tra la barba rada e biondiccia che gli copre le guance. “Dopo trentadue giorni nei quali siamo stati incessantemente sotto il fuoco dell’artiglieria“. Roman ha 28 anni. Ne dimostra meno, nonostante le occhiaie di stanchezza impresse sul volto, la mimetica che indossa e il Kalashnikov a tracolla. Non sa per quanto ancora ci sarà silenzio e non sa quanto ancora durerà questa guerra. “Vogliamo la pace ma sul nostro pezzo di terra. Riunirsi all’Ucraina non è più possibile. L’esercito di Kiev ha sparato sul proprio popolo. Non ci resta che resistere fino in fondo”.
Ed è proprio della Resistenza che parla Roman. “Contro i nazisti di là…” indica con il braccio la linea del fronte. “Di là c’è anche il battaglione Azov della Guardia Nazionale Ucraina. Hanno la svastica sulla uniforme. Come è possibile che l’Europa li sostenga?”. Azov, Aidar, Donbass-Dnepr, Dnepr uno, Dnepr due, sono i battaglioni composti da volontari di estrema destra integrati nelle forze regolari ucraine e finanziati, al pari del gruppo neo fascista Pravij Sektor, dall’oligarca Igor Kolomoisky, Il ricchissimo e potente governatore della regione di Dnepropetrovsk che oltre a quello ucraino ha anche passaporto cipriota ed israeliano. Sorride di nuovo Roman mentre ci saluta alzando il pugno. “No pasaran!”. Il saluto dei repubblicani della guerra di Spagna qui tra i cosacchi ha trovato nuova vita e purtroppo riacquistato senso ed è divenuto comune.
“No pasaran!” ripete Roman come volesse rassicurare anche noi. LIUDJ scritta a grandi caratteri con la vernice bianca, questa parola che in russo significa Persone, si ripete a tratti dipinta su abitazioni e scuole. Un segnale che lì ci sono civili, non combattenti. Un tentativo di protezione dal fuoco dei bombardamenti. La vediamo anche sul muro di una casa bruciata mentre lasciamo Pervomaisk per continuare questo nostro viaggio nella distruzione verso Novosvietlavka, sulla via che conduce al vecchio areoporto. LIUDJ, persone. E’ proprio contro le persone che questa guerra pare accanirsi.
Siamo partiti da Lughansk, Abbiamo attraversato Stakanov, Pervomaisk e ovunque abbiamo visto scuole, ospedali, fabbriche, centrali elettriche ed idriche distrutte. Sistematicamente vengono colpite tutte le strutture vitali per la popolazione delle città e dei villaggi. Non è possibile non scorgere un disegno pianificato di pulizia etnica. La volontà di costringere le ‘Persone’ che qui vivono e sopravvivono ad abbandonare quest’area e rifugiarsi in Russia, come molti sono già stati costretti a fare, facendo intorno a loro terra bruciata. Terra bruciata è il villaggio di Novosvietlavka. Bruciate quasi tutte le semplici isbe che lo compongono. Distrutto l’acquedotto, la casa della cultura, la chiesa, la scuola.
Sulle macerie di quest’ultima, vicino alla carcassa di uno scuola-bus giallo crivellato di colpi, è rimasto in piedi un grande cartello con ritratti ragazzi e ragazze felici sotto la scritta “Quelli della scuola sono gli anni più belli”, che suona drammaticamente ironica in questo sfacelo. Anche l’ospedale è ridotto ad un cumulo di macerie. Il viceprimario Vladimir Nikolaj Svarjevsky cerca di darsi un contegno. Pare vergognarsi, nemmeno fosse lui il responsabile di questa devastazione. Ma poi cede e gli occhi gli si riempiono di lacrime, la bocca di parole di un racconto dell’orrore che sembra non volersi interrompere più. “Qui sono arrivati i miliziani del battaglione Aidar…”. Saccheggi, fucilazioni, fosse comuni, cadaveri profanati per sfregio… Pochi sono gli abitanti rimasti a Novosvietlavka. C’è un vecchio: “Mi sono rifugiato in cantina. Quattro giorni nascosto al buio, senza cibo nè acqua”. Un gruppo di ragazzini che aspetta, vicino alla carcassa di un carrarmato bruciato, un bus che li porterà ad una scuola a dieci chilometri da qui.”La nostra era più bella, più grande…” dice uno di loro. E branchi di cani. “Sono molto pericolosi, attenti…”, il vecchio ci mette in guardia. “La fame. Lo shock delle esplosioni li hanno riportati allo stato selvatico. Sono diventati come belve. Aggrediscono gli uomini”. Belve.
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Mondo
Viaggio in Ucraina: al fronte di Lugansk con i ribelli filorussi. Tra fantasmi e ferite
Seconda puntata del reportage nel paese dell’Europa orientale dilaniato da un conflitto che continua a mietere fame, morte e distruzione. Dopo Slovianks e Kiev, una delle due province ribelli che hanno dichiarato unilateralmente la propria indipendenza scatenando la reazione militare del governo ucraino
Ai bordi della strada chiazze di neve gelata, sporche, si contendono spazio con i crateri anneriti delle esplosioni. Pervomaisk, Primo Maggio, è scritto sul cartello, anche quello crivellato di schegge d’obice, all’ingresso di questa città a pochi chilometri da Lughansk, la capitale della autoproclamata Repubblica Popolare del Lughansk, nella regione russofona del Donbass (guarda il video). Ci fermiamo in uno spiazzo circondato da palazzi di edilizia popolare, sette o otto piani, squadrati, di stile sovietico. La loro geometria monotona è interrotta, stravolta da squarci nelle mura che paiono eruttare colate di macerie fossilizzate. Uno degli squarci è talmente grande da attraversare la struttura lasciando intravedere dall’altra parte delle pareti annerite dal fuoco uno spicchio di cielo grigio.
“Lì viveva una madre con i suoi tre bambini…”. Si sono avvicinate quattro donne di mezz’età imbacuccate per il freddo. “Non è rimasto nulla di lei e dei suoi figli. L’esplosione li ha disintegrati tutti” ci dice, indicando la voragine, una di loro, Irina. Racconta senza che dalla sua espressione trapeli alcuna emozione. Dolore, commozione, paura, forse tutte le emozioni di Irina sono bruciate, ridotte in macerie come la città in cui continua a vivere. Prima della guerra contava 25mila abitanti, adesso ne sono restati meno di 8mila, la maggior parte ha cercato rifugio in Russia. Non c’è più elettricità, né acqua corrente. Centrale elettrica, acquedotto, tutto distrutto dai bombardamenti.
“Ma perché non ve ne andate, non fuggite?”. Irina scuote la testa rassegnata ed ostinata. “Questa è la nostra terra”. “Ma come fate a sopravvivere così?”. “I cosacchi ci portano il cibo quando ne hanno (leggi). Quando non ne hanno a sufficienza se ne privano per noi”. Tutta quest’area è difesa dalla Guardia Nazionale Cosacca della Grande Armata del Don. “Solo loro pensano a noi. L’Europa arma l’esercito ucraino che ci bombarda. Perché? Anche noi eravamo ucraini“. Lo scoppiettio ansimante di un motore interrompe lo sfogo di Irina. Un vecchio e scassatissimo camioncino entra nel cortile facendo lo slalom tra carcasse di auto bruciate, mucchi di immondizia e cumuli di macerie. Come attratti da un richiamo altri gruppi di donne escono dalle palazzine semidistrutte con in mano sporte di bottiglie e tanichette di plastica. Il camioncino si ferma. Sullo sportello, dipinti a mano, una stella rossa e il simbolo della pace.
Il conducente è ancor più vecchio del mezzo. Magro, il viso incorniciato da una folta barba bianca, sul capo una consunta bustina dell’armata rossa della seconda guerra mondiale. Saluta le donne con un sorriso e le aiuta a riempire bottiglie e taniche di acqua potabile dalla cisterna di plastica montata sul cassone del camion. La prima linea del fronte si trova poco al di là di queste palazzine. Una donna che spinge un passeggino con un bambino piccolo attraversa la strada spezzata ad una cinquantina di metri da una trincea protetta da tronchi d’albero, sacchetti di sabbia e da una garitta di travi di legno dalla quale spunta la canna di una mitragliatrice pesante. E’ questo l’avamposto più avanzato della difesa di Pervomaisk presidiato dall’armata cosacca.
Riparato dietro le mura di una casa distrutta c’è un gazebo di plastica. Sotto, in un barile arrugginito, brucia un po’ di legna. E’il turno di Roman di scaldarsi. Stende le mani intirizzite dal freddo sul braciere di fortuna godendosi un po’ di tepore e di silenzio. “Tre giorni che c’è silenzio…” ci dice abbozzando un sorriso tra la barba rada e biondiccia che gli copre le guance. “Dopo trentadue giorni nei quali siamo stati incessantemente sotto il fuoco dell’artiglieria“. Roman ha 28 anni. Ne dimostra meno, nonostante le occhiaie di stanchezza impresse sul volto, la mimetica che indossa e il Kalashnikov a tracolla. Non sa per quanto ancora ci sarà silenzio e non sa quanto ancora durerà questa guerra. “Vogliamo la pace ma sul nostro pezzo di terra. Riunirsi all’Ucraina non è più possibile. L’esercito di Kiev ha sparato sul proprio popolo. Non ci resta che resistere fino in fondo”.
Ed è proprio della Resistenza che parla Roman. “Contro i nazisti di là…” indica con il braccio la linea del fronte. “Di là c’è anche il battaglione Azov della Guardia Nazionale Ucraina. Hanno la svastica sulla uniforme. Come è possibile che l’Europa li sostenga?”. Azov, Aidar, Donbass-Dnepr, Dnepr uno, Dnepr due, sono i battaglioni composti da volontari di estrema destra integrati nelle forze regolari ucraine e finanziati, al pari del gruppo neo fascista Pravij Sektor, dall’oligarca Igor Kolomoisky, Il ricchissimo e potente governatore della regione di Dnepropetrovsk che oltre a quello ucraino ha anche passaporto cipriota ed israeliano. Sorride di nuovo Roman mentre ci saluta alzando il pugno. “No pasaran!”. Il saluto dei repubblicani della guerra di Spagna qui tra i cosacchi ha trovato nuova vita e purtroppo riacquistato senso ed è divenuto comune.
“No pasaran!” ripete Roman come volesse rassicurare anche noi. LIUDJ scritta a grandi caratteri con la vernice bianca, questa parola che in russo significa Persone, si ripete a tratti dipinta su abitazioni e scuole. Un segnale che lì ci sono civili, non combattenti. Un tentativo di protezione dal fuoco dei bombardamenti. La vediamo anche sul muro di una casa bruciata mentre lasciamo Pervomaisk per continuare questo nostro viaggio nella distruzione verso Novosvietlavka, sulla via che conduce al vecchio areoporto. LIUDJ, persone. E’ proprio contro le persone che questa guerra pare accanirsi.
Siamo partiti da Lughansk, Abbiamo attraversato Stakanov, Pervomaisk e ovunque abbiamo visto scuole, ospedali, fabbriche, centrali elettriche ed idriche distrutte. Sistematicamente vengono colpite tutte le strutture vitali per la popolazione delle città e dei villaggi. Non è possibile non scorgere un disegno pianificato di pulizia etnica. La volontà di costringere le ‘Persone’ che qui vivono e sopravvivono ad abbandonare quest’area e rifugiarsi in Russia, come molti sono già stati costretti a fare, facendo intorno a loro terra bruciata. Terra bruciata è il villaggio di Novosvietlavka. Bruciate quasi tutte le semplici isbe che lo compongono. Distrutto l’acquedotto, la casa della cultura, la chiesa, la scuola.
Sulle macerie di quest’ultima, vicino alla carcassa di uno scuola-bus giallo crivellato di colpi, è rimasto in piedi un grande cartello con ritratti ragazzi e ragazze felici sotto la scritta “Quelli della scuola sono gli anni più belli”, che suona drammaticamente ironica in questo sfacelo. Anche l’ospedale è ridotto ad un cumulo di macerie. Il viceprimario Vladimir Nikolaj Svarjevsky cerca di darsi un contegno. Pare vergognarsi, nemmeno fosse lui il responsabile di questa devastazione. Ma poi cede e gli occhi gli si riempiono di lacrime, la bocca di parole di un racconto dell’orrore che sembra non volersi interrompere più. “Qui sono arrivati i miliziani del battaglione Aidar…”. Saccheggi, fucilazioni, fosse comuni, cadaveri profanati per sfregio… Pochi sono gli abitanti rimasti a Novosvietlavka. C’è un vecchio: “Mi sono rifugiato in cantina. Quattro giorni nascosto al buio, senza cibo nè acqua”. Un gruppo di ragazzini che aspetta, vicino alla carcassa di un carrarmato bruciato, un bus che li porterà ad una scuola a dieci chilometri da qui.”La nostra era più bella, più grande…” dice uno di loro. E branchi di cani. “Sono molto pericolosi, attenti…”, il vecchio ci mette in guardia. “La fame. Lo shock delle esplosioni li hanno riportati allo stato selvatico. Sono diventati come belve. Aggrediscono gli uomini”. Belve.
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Viaggio in Ucraina, la ‘Fede’ dei cosacchi: “Contro i nazisti, come i nostri padri”
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Argentina, trovato morto procuratore che indagava su presidente Cristina Kirchner
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Caso Cecilia Sala, il Dipartimento di Stato Usa: “Seguiamo la vicenda, l’Iran detiene i cittadini stranieri e spesso li usa come leva politica”
Roma, 29 dic. (Adnkronos) - "Avere ridotto del 25 per cento, dal 14 al 28 dicembre, nei primi quindici giorni del nuovo Codice della strada, il numero di morti sulle strade è qualcosa che dovrebbe rendere orgoglioso me e voi". Lo dice Matteo Salvini in una diretta social.
"Mi faccio carico volentieri se c'è qualche polemica, ho le spalle larghe, ho rischiato 6 anni per aver bloccato immigrati clandestini. Quindi figurarsi se per salvare vite umane non mi faccio carico di qualche polemica e degli attacchi di Vasco o di radical chic di sinistra".
Roma, 29 dic. (Adnkronos) - “Come dice Renato Brunetta sul Sole24Ore ‘in un carcere sovraffollato, luogo di isolamento, umiliazione, malattia e morte, la pena rischia di perdere la certezza dell'esempio, che è la vera fonte di legittimazione della potestà punitiva, per trasformarsi invece in certezza della recidiva’. È vero, e non conviene a nessuno un modello di pena che incentiva i detenuti a tornare a delinquere o a cominciare a farlo se detenuti ingiustamente. La sua proposta di indulto parziale, per il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, merita attenzione e una iniziativa parlamentare trasversale. Sarebbe infatti positivo che anche nella maggioranza la proposta di Brunetta, che ha alle spalle una lunga militanza nel centrodestra, venisse raccolta e rilanciata. La situazione nelle carceri è incivile ed inaccettabile, quindi bisogna agire con urgenza”. Lo afferma il deputato di +Europa Benedetto Della Vedova.
Roma, 29 dic. (Adnkronos) - “Una manovra nella quale emerge la totale mancanza di visione economica del governo Meloni: competitività, occupazione, giovani, sanità, ambiente, riduzione del debito pubblico e concorrenza sono state le note a margine di una legge di bilancio in cui la parte più consistente è stata occupata dalle mancette elettorali dei partiti di maggioranza. Tutto questo è stato fatto calpestando la democrazia parlamentare, riducendo al minimo non solo le possibilità di modifica ma anche di dibattito”. Lo afferma il segretario di Più Europa Riccardo Magi.
“Per fortuna, grazie alle poche modifiche fatte alla Camera, è stato possibile introdurre alcune cose positive. Attraverso un nostro emendamento, con buona pace dei pro-vita, è stato rafforzato il fondo per corsi di informazione e prevenzione rivolti a studenti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado, relativamente alle tematiche della salute sessuale e dell’educazione sessuale e affettiva; inoltre è stato confermato e rafforzato il bonus psicologo ed è stato istituito il Fondo per il servizio di sostegno psicologico in favore delle studentesse e degli studenti. Sono piccoli ma importanti passi avanti, nonostante - conclude Magi - un governo oscurantista e antiscientifico”.
Roma, 29 dic. (Adnkronos) - Se l'obiettivo del 2024 era quello di rafforzare il Pd e blindare la leadership, Elly Schlein può chiudere l'anno con un bilancio positivo. I dem sono nettamente il primo partito dell'opposizione e chi vince, si sa, difficilmente viene messo in discussione. Se a questo, però, la segretaria sperava di aggiungere anche l'avvio di un nuovo centrosinistra da contrapporre alla destra di Giorgia Meloni, le cose non sono andate per niente bene. La coalizione ancora non c'è, un'alternativa solida e credibile nemmeno e gli esiti dello sforzo 'testardamente unitario' di Schlein tutti da verificare. Sarà la sfida cruciale del 2025. E le insidie non mancano.
IL MANTRA DELL'UNITA', SCHLEIN E L'INEDITA PAX DEM - All'assemblea nazionale Pd di metà dicembre, Schlein ha presentato la nuova tessera dem per il 2025. Dopo gli occhi di Enrico Berlinguer del 2024, sarà uno slogan indicativo a segnare la direzione dell'anno che sta per iniziare: 'Unità'. "E' una parola bellissima e impegnativa ma soprattutto un programma, un metodo, un approccio alle cose”, ha spiegato la segretaria. Un messaggio rivolto ad alleati riottosi ma anche all'interno. Con Schlein si è realizzata una inedita pax dentro il Pd. Complice l'approccio unitario di Stefano Bonaccini, il perdente al congresso. Hanno pesato anche i continui appuntamenti elettorali del 2024: un voto quasi ogni mese è stato argine alle polemiche interne. E un Pd insolitamente poco litigioso è stato premiato nei consensi riportando i dem stabilmente ben sopra il 20 per cento e accorciato la distanza da Fdi di Meloni. Schlein riuscirà a mantenere la pax anche nel 2025?
DAL TIMORE DEL SORPASSO M5S ALLE EUROPEE AL PD PIGLIATUTTO - Se c'è un dato di chiarezza che il 2024 ha portato nel campo delle opposizioni è quello sui rapporti di forza. Il Pd chiude l'anno in uno stato di salute che era difficile prevedere. Era aprile, mancavano appena due mesi alle europee, quando tutti i sondaggi davano il Movimento 5 Stelle a una incollatura dai dem. Il timore del sorpasso serpeggiava tra i capanelli Pd in Transatlantico. Dopo due mesi di campagna elettorale in cui Schlein ha battuto il Paese insistendo su pochi temi chiave - la difesa della sanità pubblica, lavoro e salari innanzitutto -, è finita con quasi 15 punti di scarto tra i due partiti: 24,1 il Pd e 9,9 i 5 Stelle. Una caratterizzazione che ha premiato. Insieme alla potenza di fuoco, squadernata in termini di preferenze, dal 'partito degli amministratori': Stefano Bonaccini, il recordman del Sud Antonio Decaro, Dario Nardella, Giorgio Gori, Matteo Ricci, l'ex-presidente Nicola Zingaretti.
Un trend che si è confermato anche con le vittorie 6 a 0 nei capoluoghi di regione a giugno. E poi in autunno nelle regionali in Emilia Romagna e Umbria: con Michele De Pascale, sindaco di Ravenna, il Pd vola al 42,9% e arriva al 30,2% con Stefania Proietti, sindaca civica di Assisi. E pure in Liguria dove la vittoria è sfuggita di un soffio ad Andrea Orlando, il Pd è comunque primo partito con il 27,6%, doppiando quasi Fdi. Ma accanto al successo dem, ci sono i 5 Stelle in caduta libera, la quasi scomparsa a livello regionale delle formazioni centriste. Schlein riuscirà a dar vita a una coalizione competitiva?
SCHLEIN LA ZEN E LE TENSIONI CON I 5 STELLE - "Il mio avversario è la destra di Meloni, non dirò mai una sola parola contro le altre forze di opposizione". Schlein la Zen. E' questo il segno che la segretaria del Pd ha dato ai rapporti, spesso molto difficili, con i 5 Stelle e Giuseppe Conte nel corso dell'anno che si sta chiudendo. Sono state soltanto due le volte, in cui Schlein ha rotto la linea che si è autoimposta. La prima quando in un incontro alla Camera, Conte le disse in faccia che il Pd è un partito "bellicista". Dopo 24 ore e con i dem in subbuglio, arrivò la replica: "Dal M5S esigo rispetto, basta con i continui attacchi e le mistificazioni che non servono a costruire l’alternativa. Se Conte attacca più noi che il governo Meloni sbaglia strada".
La seconda quando Conte annullò le primarie per le comunali a Bari alla vigilia dei gazebo. “Non ci sono più le condizioni per svolgere seriamente le primarie”, disse il leader M5S a seguito di alcune inchieste giudiziarie. Sulla 'questione morale', non ci fu Zen di sorta a tenere Schlein. La segreteria andò a Bari e dal palco la replica a Conte fu durissima in difesa dell'onorabilità del Pd e con l'accusa ai 5 Stelle di slealtà. “Ritirarsi dalle primarie a tre giorni dal voto è uno schiaffo alle persone perbene. Una scelta unilaterale che rappresenta un favore alle destre”. Fu rottura e alla fine a vincere a Bari è stato il candidato dem, Vito Leccese, al secondo turno con il 70%. Da allora, la segretaria ha ripreso la linea Zen. Nonostante un fine anno teso con i 5 Stelle che, pure dopo la vittoria di Conte su Grillo alla Costituente, restano riottosi all'alleanza: 'progressisti indipendenti', la definizione del leader M5S. Che ha fatto vacillare la pazienza di Schlein. "So bene che i processi di maturazione richiedono pazienza ma allo stesso tempo -ha detto la segretaria all'assemblea nazionale di metà dicembre- non possiamo passare il prossimo anno ognuno a farci gli affari propri, pensando rinviare alla vigilia delle politiche la sintesi e la costruzione dell'alternativa che dobbiamo alla nostra gente". Riuscirà Schlein a stringere un'alleanza organica con i 5 Stelle?
IL CENTRO E I SUOI FEDERATORI - "Il rischio è quello di avere una Quercia addirittura senza cespugli, ma solo circondata dall'erba". Parola di Romano Prodi dopo le regionali in Emilia Romagna e Umbria. Un rischio sentito da molti nel Pd, specie da chi avverte la mancanza di una gamba centrista alla coalizione che si cerca di costruire. Diversa dal fu Terzo Polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda. In questi mesi si è parlato di possibili federatori: da Beppe Sala per un'area liberale e riformista a Ernesto Maria Ruffini con un taglio più cattolico-democratico. Al momento i lavori sono in corso ma il successo è tutt'altro che scontato. Schlein, da parte sua, sulle ipotesi in campo non ha proferito parola. C'è chi sostiene che un eventuale federatore del centro potrebbe diventarlo dell'intera coalizione 'scippando' a Schlein la candidatura a palazzo Chigi. Riuscirà Schlein a conquistare la premiership della coalizione?
DE LUCA, ARMI E SALVA MILANO, I PRIMI NODI DEL 2015 - Nell'anno che sta per aprirsi, ci sono almeno due o tre nodi che Schlein troverà già ad attenderla. Due sono materie parlamentari: la questione dell'Ucraina e delle armi e quella del cosiddetto Salva Milano. Su entrambe le questioni ci sono diverse sfumature tra i dem e su entrambe il Pd è sotto il fuoco amico di M5S e anche di Alleanza Verdi e Sinistra. Il rischio di una spaccatura delle opposizioni è quasi una certezza. A gennaio poi è attesa la sentenza della Consulta sul referendum contro l'autonomia. Se fosse ammissibile potrebbe al contrario rappresentare l'occasione per una battaglia unitaria di tutte le opposizioni. E sempre a gennaio, entro il 10, il governo dovrà decidere se impugnare o meno la legge De Luca per il terzo mandato. Schlein non ne vuol sapere di ricandidare il presidente campano e lui non ne vuol sapere di non ricandidarsi. La decisione di Meloni sarà determinante. Riuscirà Schlein a tenere la Campania a guida centrosinistra?
Roma, 29 dic. (Adnkronos) - "Anche quest’anno ci sarà il raduno fascista, come ogni 7 gennaio, nella ricorrenza dei fatti di Acca Larentia. Nel frattempo è anche apparsa una targa firmata ‘i camerati’ che esalta chi è morto per ‘la tradizione’, che va immediatamente rimossa in via Evandro, a pochi passi dalla sede di Acca Larentia. La città di Roma non merita quelle grida sguaiate, quei saluti romani che il 7 gennaio ci diranno ancora un volta che questo governo, che vuol reprimere il dissenso con il decreto sicurezza, strizza l’occhio ai nostalgici del ventennio. E non c’è nulla da meravigliarsi se il presidente del Senato, apostrofato in aula ‘camerata’, non abbia avuto nulla da ridire. Il Partito Democratico chiede al ministro degli interni Matteo Piantedosi di vietare il raduno di Acca Larentia e al governo di sciogliere le organizzazioni fasciste”. Lo dichiara Sandro Ruotolo, europarlamentare e responsabile memoria nella segreteria del Pd.
Il Cairo, 29 dic. (Adnkronos/Afp) - Un turista straniero è stato ucciso e un altro è rimasto ferito in un attacco di uno squalo a Marsa Alam, località egiziana sul Mar Rosso. Lo ha riferito il ministero dell'Ambiente egiziano in una nota. "Due stranieri sono stati attaccati da uno squalo nella zona settentrionale di Marsa Alam, causando il ferimento di uno e la morte dell'altro", si legge nel comunicato.
Roma, 29 dic. (Adnkronos) - “Sarà una combinazione o si fabbrica un provvedimento su misura per ‘colpire’ un leader dell’opposizione? Ricapitoliamo i fatti: Palazzo Chigi, peraltro con la contrarietà anche di molti esponenti della maggioranza, si inventa una misura ad hoc che vieta incarichi retribuiti al di fuori dell’Ue. Guarda caso la situazione che riguarda Matteo Renzi. No, non è una combinazione. Ed ha ragione il leader di Italia Viva a definirla una norma illiberale”. Lo scrive sui suoi social il presidente di Libdemeuropei, Andrea Marcucci.