Non è per fare un piacere a Berlusconi, ma a Confindustria e alle altre organizzazioni imprenditoriali. Così, intervenendo al Senato per illustrare la relazione sulla Giustizia già approvata ieri dalla Camera, il ministro della Giustizia Andrea Orlando giustifica la volontà del governo di mantenere le soglie di non punibilità penale per il falso in bilancio, introdotte nel 2003 dalla maggioranza berlusconiana. “Non è perché abbiamo introdotto delle soglie che siamo amici di quelli che fanno il falso in bilancio” ha detto il ministro in aula, rivolgendosi in particolare al Movimento 5 Stelle, che nei giorni scorsi aveva attaccato pesantemente l’emendamento governativo al ddl anticorruzione, volto a lasciare inalterati i limiti del 5% dell’utile di esercizio e dell’1% del patrimonio netto al di sotto dei quali i magistrati non possono intervenire.
“Nella stesura estiva non avevamo previsto soglie”, ha spiegato Orlando, “abbiamo fatto una consultazione nella quale forze sociali ci hanno posto il tema di distinguere tra aziende quotate e non quotate e di tener conto che alcune aziende hanno strumenti diversi per fare il bilancio. Per alcune la possibilità di cadere nell’errore è più alto, ne vogliamo tenere conto o no? Se non vi va bene discutiamo su come farlo, ma non è accettabile che se si tiene conto di questo aspetto si diventa improvvisamente amici dei criminali”. Poi ha chiarito: “Venite ad ascoltare con me ciò che dice Confindustria, Cna, Confartigianato, le preoccupazioni delle imprese, e vediamo in che misura tenerne conto”. L’intervento di Orlando sembra chiarire un punto sollevato qualche giorno fa da ilfattoquotidiano.it: sul sito del ministero di via Arenula campeggia infatti una relazione tecnica del 17 luglio 2014 in cui si manifesta l’intenzione di “riconsiderare le soglie” del falso in bilancio, perché rischiano di “incentivare le condotte di falso”. Poi sono arrivate le consultazioni con Confindustria e con le altre sigle imprenditoriali, e le soglie sono ritornate in auge.
CANTONE: “TOLLERANZA SI’, MA PERCENTUALE NON PUO’ ESSERE ELEVATA”. Insomma, nessun favore a Berlusconi, contraente del patto del Nazareno con Matteo Renzi. Il che è anche plausibile, dato che il leader di Forza Italia oggi non risulta avere pendenze per reati societari di questo tipo e ha già raccolto a suo tempo il frutto della legge ad personam, che gli ha consentito per esempio di uscire assolto dal processo Sme, e non solo, “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, proprio grazie alle provvidenziali soglie percentuali. Discorso diverso per altre soglie introdotte in un testo governativo, quello sulla frode fiscale, che potrebbero cancellare la condanna definitiva al processo Mediaset, e che in seguito alle polemiche Renzi ha annunciato di aver bloccato. Di fronte al Senato, però, Orlando pone un tema ben più ampio dei favori a Berlusconi: quello della diffusa insofferenza degli imprenditori italiani verso maglie di legalità troppo strette. Dove “stretto” è un concetto relativo dato che, come più volte segnalato su Il Fatto Quotidiano, i limiti del 5% dell’utile e dell’1% del patrimonio concedono ai bilanci dei grandi gruppi una sorta di franchigia da centinaia di milioni di euro l’anno. Tanto che in questi giorni il presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone è stato molto cauto nel commentare la questione, a cui pure è interessato dato che il falso in bilancio può nascondere i fondi neri necessari a pagare mazzette. “E’ chiaro che, entro certi limiti di tolleranza, lo spostamento dal vero può anche essere non punibile”, afferma oggi Cantone in un’intervista a Repubblica. “Ma la percentuale non può essere molto elevata e soprattutto non convince che ci sia un pezzo di perseguibilità a querela”.
SULLA GIUSTIZIA “CONTRADDIZIONI IN MAGGIORANZA”. Per uscire dall’angolo, Orlando mette a nudo un altro nodo cruciale che riguarda i provvedimenti legislativi sulla giustizia, soprattutto quando coinvolgono i colletti bianchi. Quello delle “contraddizioni che esistono anche dentro la maggioranza“. Leggi certamente l’Ncd di Angelino Alfano, ma non solo. Anche all’interno del Pd, negli ultimi mesi, i mal di pancia su questo fronte sono stati tanti ed espliciti, da Piero Grasso a Pippo Civati, da Felice Casson a Lucrezia Ricchiuti, fino alla recente rottura di Sergio Cofferati, che ha lasciato polemicamente il partito dopo il caso delle primarie inquinate a Genova. “Il tema è fare le corse e arrivare nell’altro ramo del Parlamento per poi non sanare le contraddizioni e lasciare i provvedimenti galleggiare”, si chiede retoricamente Orlando, “o forse è meglio sciogliere le contraddizioni che esistono anche dentro la maggioranza in modo tale da far arrivare alla meta il provvedimento? Lo dico perché non considero di aver boicottato la legge sulla responsabilità civile (dei magistrati, ndr), abbiamo fatto una scelta di composizione e lo stesso ragionamento va fatto su altri temi delicati”.
“SI’ AI PENTITI NEI PROCESSI PER CORRUZIONE”. Come ieri la Camera, il Senato ha approvato la relazione di Orlando sulla Giustizia. Il ministro ha poi rilanciato con l’annuncio di un nuovo provvedimento: il pentito anti-tangenti: “Credo che manchi oggettivamente un intervento tra quelli all’esame del Parlamento, che sono convinto porteranno a un risultato significativo, che è lo sconto di pena per chi collabora nell’ambito delle inchieste per corruzione, che è l’unico intervento perché in grado di rompere la logica di omertà che spesso caratterizza le organizzazioni corruttive”. Ad avanzare la richiesta di introdurre la figura del pentito nei processo per corruzione era stato, l’11 dicembre davanti la commissione Antimafia, il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone.