La legge dovrebbe essere il terreno d’elezione dove la forma è sostanza. Dove la correttezza delle procedure è garanzia, non fatto accessorio. Parliamo della delega fiscale approvata alla vigilia di Natale, testo a cui successivamente una “manina” (si è scoperto, per stessa ammissione dell’interessato, che era quella del premier) ha poi aggiunto di soppiatto un articolo (il 19 bis, che stabiliva la depenalizzazione di evasione e frode fiscale al di sotto della soglia del 3% dell’imponibile). E qualche giorno prima, il 21 dicembre, in occasione del voto sulla legge di Stabilità, i senatori si ritrovarono ad approvare un testo sbagliato, incompleto e che non avevano letto. Due situazioni molto diverse, che hanno in comune una faciloneria inaccettabile. “Questo modo di fare è molto preoccupante”, spiega Federico Sorrentino, costituzionalista, ex professore della Sapienza oggi in pensione.
Professore che cosa la preoccupa?
C’è un’allarmante disinvoltura, che non è solo degli ultimi mesi, per la quale il Consiglio dei ministri delibera un provvedimento e solo dopo qualche giorno il testo viene confezionato. Molte volte non viene nemmeno riportato in Consiglio dei ministri. Ci sono stati decreti legge pubblicati anche dieci giorni dopo la delibera, perché il testo non era stato definito. Molte volte passano intervalli imbarazzanti tra la data in cui il Consiglio dei ministri risulta aver approvato in linea di massima un certo provvedimento e la data in cui il provvedimento (magari un decreto urgente) viene pubblicato.
E il caso dell’articolo 19 bis. Si va ben oltre l’irregolarità: siamo di fronte a un reato?
A me era sfuggito che l’articolo 19 bis era stato inserito dopo la delibera del Consiglio dei ministri. Tra l’altro la sostanza di quel nuovo articolo non è cosa banale, è una scelta che ha un rilievo politico significativo. Doveva essere perlomeno riportato in Consiglio dei ministri, affinché il Governo nella sua collegialità ne assumesse la responsabilità. È certo che siamo al di là di una leggerezza. Siamo di fronte a un falso in atto pubblico. Che per un premier, un ministro o comunque un funzionario pubblico è particolarmente grave.
Alessandro Pace auspicava su questo giornale una mozione di censura a Renzi perché non si ripetesse una cosa del genere.
Forse occorre essere più rigidi: non basta una mozione di censura se, come penso, si tratta di un reato commesso nell’esercizio delle funzioni del ministro o del presidente del Consiglio. Occorre che di esso si occupi il Tribunale dei ministri. È un fatto di una gravità straordinaria, passato sotto silenzio. O meglio: è stato coperto da risolini, da battute, da manine. Invece è una cosa estremamente seria.
Il falso in atto pubblico è procedibile d’ufficio.
Ovviamente. A questo punto la Procura di Roma, di fronte al Presidente del Consiglio che ammette di aver messo lui la “manina”, dovrebbe trasmettere la cosiddetta notitia criminis al competente Tribunale dei ministri. L’obbligatorietà dell’azione penale impone che, a seguito delle dichiarazioni del presidente del Consiglio, che ha ammesso il fatto, si proceda alle necessarie indagini.
Dicono: le riforme che rafforzano l’esecutivo servono per migliorare l’efficienza.
Vogliamo scherzare? Quando si è voluto, nel nostro Paese, le leggi si sono approvate in tre giorni (legge di Stabilità del 2012). In realtà si vogliono rimuovere i controlli sull’operato del governo, eliminando o snaturando il Senato e approvando una nuova legge elettorale ipermaggioritaria e, per giunta, da parte di un parlamento, come quello attuale, che con l’annullamento della legge elettorale (porcellum) ha perduto ogni legittimità e che in nessun modo può dirsi che rappresenti il popolo italiano.
La questione formale in questi casi è più che mai sostanziale.
Se si pensa che, secondo insinuazioni per niente inverosimili, l’articolo 19 bis sarebbe la conseguenza di accordi opachi tra leader di diversi partiti, la questione diventa alquanto preoccupante.
da il Fatto Quotidiano del 18 gennaio 2015