Scacco alla ‘ndrangheta in Emilia Romagna. La Direzione distrettuale antimafia di Bologna ha disposto 117 arresti nell’ambito dell’inchiesta “Aemilia” che ha colpito il clan Grande Aracri e i suoi contatti con la politica e l’imprenditoria. Si tratta della prima maxi operazione contro la criminalità organizzata nella regione del nord. Un intervento “storico” – come lo definisce il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti – paragonabile alle inchieste in Lombardia (Crimine-Infinito), Piemonte (Minotauro) e Liguria (Maglio). Altri 46 provvedimenti sono stati emessi dalle procure di Catanzaro e Brescia – in inchieste collegate – per un totale di oltre 160 arresti. In manette anche il consigliere comunale di Reggio Emilia Giuseppe Pagliani (Forza Italia), accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. L’operazione, oltre all’Emilia, ha interessato la Lombardia, il Piemonte, il Veneto, la Calabria e la Sicilia. Migliaia i carabinieri impiegati, appartenenti ai Comandi Provinciali di Modena, Parma, Piacenza e Reggio Emilia.

video di David Marceddu

Roberti: “Intervento storico contro la mafia al nord”
“Un intervento che non esito a definire storico, senza precedenti. Imponente e decisivo per il contrasto giudiziario alla mafia al nord”. Così viene definita dal procuratore nazionale antimafia Franco Roberti l’operazione “Aemilia”. “Non ricordo a memoria un intervento di questo tipo per il contrasto a un’organizzazione criminale forte e monolitica e profondamente infiltrata”. Ma Roberti ha anche sottolineato la “modernità di questa organizzazione che cura i rapporti con l’informazione e con il tessuto sociale. E’ una visione politica del radicamento”.

Associazione mafiosa, usura ed estorsione: ecco i reati contestati
Le misure cautelari sono state richieste dal sostituto procuratore Marco Mescolini e firmate dal gip Alberto Ziroldi. Le 117 persone (7 sono irreperibili) raggiunte dalle misure di custodia cautelare sono accusate, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso (54), estorsione, usura, porto e detenzione illegali di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di capitali di illecita provenienza, emissione di fatture per operazioni inesistenti ed altro. Tutti reati commessi con l’aggravante di aver favorito l’attività dell’associazione mafiosa. Gli indagati sono oltre 200, tra cui il sindaco di Mantova Nicola Sodano di Forza Italia, originario del Crotonese, che si dice “serenissimo”.

Il clan Grande Aracri e i rapporti con gli imprenditori
Al centro dell’inchiesta, il clan Grande Aracri, storico “locale” originario di Cutro (Catanzaro), da anni radicato nella provincia di Reggio Emilia, con infiltrazioni in molteplici settori economici ed imprenditoriali, soprattutto nel business dell’edilizia. Tra le persone coinvolte ci sono infatti anche i fratelli del boss già detenuto dal 2013 Nicolino Grande Aracri, Domenico ed Ernesto. Domenico Grande Aracri, avvocato penalista, è stato arrestato nell’ambito delle misure emesse dall’antimafia bolognese. Mentre Ernesto Grande Aracri è uno dei destinatari dei 37 provvedimenti di fermo emessi dalla Dda di Catanzaro. Il gip nel suo provvedimento ha scritto che “la criminalità organizzata ha assunto forme in Emilia Romagna che richiedono una particolare interpretazione”, suoi tratti caratteristici: “Assenza di locali” e natura “prettamente imprenditoriale“.

Tra gli arrestati anche il padre del calciatore Vincenzo Iaquinta
Gli interessi dei Grande Aracri si estendevano in modo capillare non solo in Emilia Romagna, ma anche in Lombardia e Veneto, sotto il diretto controllo di Nicolino Grande Aracri che dal carcere muoveva le fila della cosca. In manette anche diversi imprenditori calabresi, alcuni già noti alle forze dell’ordine, tra cui Nicolino Sarcone, considerato da indagini precedenti il reggente della cosca su Reggio Emilia. Sarcone, già condannato in primo grado per associazione mafiosa, è stato recentemente destinatario di una misura di prevenzione patrimoniale che gli aveva bloccato beni per 5 milioni di euro. In manette anche un altro imprenditore, Giuseppe Iaquinta, padre del calciatore Vincenzo campione del mondo, arrestato nel reggiano e Augusto Bianchini che ha partecipato agli appalti per la ricostruzione post terremoto in Emilia residente nel Modenese. Ma la sua azienda non è l’unica ad aver partecipato alla ricostruzione. Molte ditte riconducibili a presunti ‘ndranghetisti “sono state molto attive anche nell’accaparrarsi i lavori per il recupero dei rifiuti, la gestione delle macerie e la ricostruzione degli edifici danneggiati dal terremoto” del 2012. E’ quanto spiega il procuratore capo della Procura di Bologna Roberto Alfonso, a margine della conferenza stampa. “Le ‘white list’ sono state molto utili – precisa Alfonso – in particolare le informazioni interdittive e i rigetti dell’inserimento nelle ‘white list’ stesse, ci hanno fatto capire come si muovevano le aziende di cui erano titolari gli affiliati all’associazione criminale”. E alcuni imprenditori indagati, come avvenne a L’Aquila, ridevano al telefono per il terremoto.

I legami con l’informazione e la politica
Ma non ci sono solo i rapporti con gli imprenditori. I boss – secondo gli inquirenti – avevano ottimi legami anche con giornalisti e politici. Agli arresti è finito il giornalista reggiano Marco Gibertini, già in manette nei mesi scorsi per una maxi inchiesta Octopus su mafie e false fatturazioni. Il giornalista è stato raggiunto dalla misura di custodia cautelare per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo il procuratore Alfonso, Gibertini “metteva a disposizione del sodalizio i suoi rapporti con i politici con l’imprenditoria e con il mondo della stampa”, con interviste in tv e su un quotidiano. Poi ci sono i politici. Oltre a Giuseppe Pagliani, il concorso esterno è contestato anche al politico di Parma Giovanni Paolo Bernini.

Pressioni a una giornalista per non pubblicare notizie
Ma se Gibertini – secondo le indagini – si metteva a disposizione della cosca, c’erano altri giornalisti vittime di pressioni. E’ il caso della cronista dell’Ansa, Sabrina Pignedoli, corrispondente da Reggio Emilia e giornalista del Resto del Carlino “invitata” a non pubblicare alcune notizie. “Il tentativo di compressione della libertà di stampa è stato respinto e io credo che la vostra collega per questo meriti un plauso” ha spiegato il procuratore Alfonso.

I legami del clan tra Emilia e Calabria
Sul versante calabrese emergono dalle indagini alcuni dettagli sul potere e l’influenza del “locale” di Cutro, feudo dei Grande Aracri. Secondo il procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo, Nicolino Grande Aracri aveva intenzione di costituire una grande provincia di ‘ndrangheta in autonomia a quella reggina. Questo secondo il magistrato – evidenzia l’importanza che Cutro aveva ormai assunto nella geopolitica delle cosche di tutto il distretto giudiziario di Catanzaro – che comprende anche le province di Crotone, Cosenza e Vibo Valentia – e poteva inoltre contare sui contatti anche con le cosche del Reggino. “Grande Aracri – ha detto Lombardo – si atteggia a capo di una struttura al di sopra dei singoli locali. E’ sostanzialmente il punto di riferimento anche delle cosche calabresi saldamente insediate in Emilia Romagna dove c’era una cellula dotata di autonomia operativa nei reati fine. I collegamenti tra Emilia Romagna e Calabria erano comunque continui e costanti e non si faceva niente senza che Grande Aracri lo sapesse e desse il consenso”. Legami, quelli tra la terra d’origine e il nord, che rappresentano la linfa vitale per i clan lontani dalla Calabria, così come è emerso già in tutte le inchieste antimafia in Lombardia. Ma secondo il magistrato la cosca era riuscita a ottenere entrature anche in Cassazione e nella Chiesa.

video di Lucio Musolino

Tentativi della malavita di influenzare il voto
Dall’indagine emergono anche riscontri di attività di supporto e tentativi di influenzare le elezioni amministrative in vari comuni emiliani da parte degli affiliati al gruppo criminale. Lo ha spiegato il procuratore Alfonso, citando i casi di Parma nel 2002, Salsomaggiore nel 2005, Sala Baganza nel 2011, Brescello nel 2009.

La cena nel 2012 tra Pagliani e gli imprenditori calabresi
Il magistrato ha anche aggiunto che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio fu ascoltato “come persona informata sui fatti” nelle indagini della Dda di Bologna. Delrio, ex sindaco di Reggio Emilia, fu sentito nel 2012. “Volevamo capire in che tipo di considerazione la società di Reggio Emilia teneva la comunità calabrese” ha detto Alfonso. Delrio venne ascoltato assieme all’allora presidente della Provincia Sonia Masini e al consigliere regionale del Pdl Fabio Filippi (nessuno dei tre è coinvolto nelle indagini). Sotto la lente dell’antimafia di Bologna era finita una cena del 21 marzo 2012 tra alcuni politici reggiani – fra cui l’allora capogruppo in Provincia del Pdl Giuseppe Pagliani, oggi arrestato, e il consigliere comunale Rocco Gualtieri – e personaggi ritenuti vicini alla criminalità organizzata. Pagliani spiegò di essere stato invitato alla cena da alcuni imprenditori calabresi per discutere della crisi e delle difficoltà nel settore dell’edilizia e dei trasporti. Tra i presenti Alfonso Diletto, i fratelli Nicolino, Gianluigi e Giuseppe Sarcone Grande ritenuti vicini al clan Grande Aracri, Gianni Floro Vito, Michele Colacino: tutte persone considerate vicine al clan ‘ndranghetista. Ma gli inquirenti, nel 2012, avrebbero chiesto chiarimenti a Delrio, Masini e Filippi anche sulla processione del Cristo a Cutro datata 2009, quando scesero in Calabria l’ex sindaco Antonella Spaggiari, lo stesso Delrio e Fabio Filippi: la terna dei candidati sindaci che proprio quell’anno dovevano sfidarsi alle elezioni comunali.

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