Una “donna infedele“, “dannosa e pericolosa”, che andava “raddizzata“. Per questo suo marito l’ha uccisa, secondo gli inquirenti. Elena Ceste lo tradiva e l’uomo non riusciva più a sopportarlo. Così ha studiato e messo in atto un piano articolato per toglierle le vita e farne sparire il corpo. Nelle 80 pagine di ordinanza con cui il Gip di Torino Giacomo Marson accusa Michele Boninconti di aver ucciso la moglie e di averne occultato il cadavere, c’è un uomo macerato da un odio covato da tempo e ingigantito da un “elemento dirompente”, la scoperta di un tradimento, ormai convinto che Elena fosse una persona “dannosa e pericolosa“. Un uomo sul quale i carabinieri hanno raccolto indizi “gravi, precisi e concordanti” nonostante lui, per oltre un anno, abbia messo in piedi un “castello di menzogne e depistaggi”. C’è un uomo che ora rischia l’ergastolo visto il “piano estremamente articolato, meditato e studiato” che gli è valso l’aggravante della premeditazione. Michele Buoninconti sarà interrogato in carcere lunedì prossimo, a Quarto d’Asti. Lo hanno confermato i suoi legali, Chiara Girola e Alberto Masoero, che stanno “attentamente” studiando gli atti. Confermano di considerare “eccessiva” la misura cautelare ai danni del loro cliente, a loro avviso è esagerata l’ipotesi di “reiterazione del reato” a un anno di distanza dai fatti contestati. I due legali hanno reso noto di aver nominato nuovi consulenti: un medico legale, un ingegnere informatico e ne stanno valutando altri, “uno psichiatra, ad esempio” hanno riferito.
Secondo il Gip, il vigile del fuoco di Alba ha ucciso la moglie “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Per arrivare a questa conclusione, investigatori ed inquirenti hanno seguito un percorso logico: prima hanno escluso tutte le possibili alternative – suicidio, incidente o coinvolgimento di altri soggetti – e poi hanno confutato la versione del marito trovando una serie di indizi e contraddizioni. Il più “significativo” è rappresentato da alcune tracce di terriccio trovate sugli abiti e su una delle calze che Elena indossava la mattina della scomparsa e che il marito consegnò agli investigatori, visto che erano piegati perfettamente nel giardino di casa. Quelle tracce, ha stabilito il consulente del pm, “sono compatibili con i terreni dell’area circostante il Rio Mersa e con il terreno della zona di ritrovamento del cadavere”.
Il secondo lo fornisce invece l’analisi delle celle telefoniche che ha consentito di collocare l’orario dell’omicidio di Elena tra le 8.43 e le 8.55 del 24 gennaio, giorno stesso della scomparsa, e l’auto dell’uomo, tra le 8.55 e le 8.57, “in una strada che corre parallela” al punto dove è stato trovato il cadavere. Dunque “si può affermare con ragionevole certezza – scrive il giudice – che l’indagato ha tracciato a bordo del proprio veicolo un percorso quasi circolare partendo dalla propria abitazione, transitando nella zona in cui è stato rinvenuto il cadavere di Elena Ceste”, ha imboccato la statale e ha ripreso la strada per casa.
Il Gip indica altri due elementi a carico del marito di Elena: il fatto che soltanto dopo il ritrovamento del corpo “ha ammesso di essersi recato nei pressi del rio Mersa per effettuare le ricerche” e la testimonianza del medico di famiglia che, una settimana dopo la scomparsa di Elena, visitò Michele. “Aveva un dolore agli addominali – ha messo a verbale il dottore – dovuto ad una contrattura da sforzo”. Un dolore “provocato da un intenso sforzo muscolare, come chi è costretto a sollevare un peso inabituale“. Quello della moglie, secondo l’accusa: uccisa sul letto coniugale, denudata, caricata in auto e gettata di peso nel fiumiciattolo.
Ecco perché, Michele ha una “personalità delinquenziale di assoluto spessore“, che gli ha consentito di organizzare ogni cosa, di scegliere con cura il luogo dell’occultamento del cadavere, di costruire un “castello di menzogne” per sostenere la sua versione. Comportamento al quale va aggiunto qualcosa di più grave, il “condizionamento dei figli”, con un metodo “sottilmente intimidatorio”, “offrendo un modello familiare diverso dal reale”. Sette mesi dopo la scomparsa, intercettato in auto proprio con i figli, Michele pronuncia queste parole: “con mamma c’ero riuscito a farla diventare donna, solo che vai a capire cosa ha visto. Diciotto anni della mia vita per recuperarla, diciotto anni della mia vita per raddrizzare mamma”. Due mesi dopo trovano il cadavere.
Per Michele, scrive il pm nella richiesta d’arresto, “la propria moglie deve occuparsi della casa, dei figli, dell’orto, delle faccende domestiche in genere senza spazio per altri interessi”. Ed invece Elena aveva osato “affacciarsi di nuovo a relazioni extraconiugali – conclude il gip – coltivare relazioni virtuali con il computer, scambiare messaggi…e per questo doveva essere eliminata”. Perché nella testa di Michele quel che lui le aveva dato, “una famiglia, una casa, la dignità del proprio lavoro” era stato ripagato “con vergogna, mortificazione e disonore”.