In questo post proseguo la descrizione dei principali risultati dello studio “The Scientific Competitiveness of Nations” pubblicato su Plos One. La prima puntata è apparsa qui.
Chiunque faccia ricerca conosce bene quali sono i paesi e le università in cui, tradizionalmente, si trovano le migliori scuole scientifiche nel suo campo scientifico. Per studiare in maniera sistematica, utilizzando degli indicatori, l’impatto scientifico delle nazioni, sono stati utilizzati i dati riguardanti il numero di articoli e citazioni prodotti dai singoli paesi. Robert May è stato tra i primi a compiere questo tipo di analisi per gli anni 1981-1994; in particolare ha confrontato gli investimenti e i risultati della ricerca scientifica in diverse nazioni. David King ha presentato nel 2004 un’analisi simile, ma più raffinata per gli anni 1993-2002. In particolare, con l’obiettivo di determinare l’impatto scientifico delle nazioni, King costruì una classifica in cui le nazioni sono state ordinate secondo la loro quota di citazioni del mondo.
Più recentemente altri studi, utilizzando una simile metodologia, hanno mostrato, tra le altre cose, che la produttività della ricerca accademica italiana, confrontata con altre nazioni è molto buona sia in termini di articoli scientifici che di citazioni ricevute in confronto alla spesa in ricerca e sviluppo accademica (tecnicamente la spesa in HERD = Spesa in istruzione superiore relativa al Prodotto Interno Lordo). I dati mostrati nella figura sono tratti dall’International Comparative Performance of the UK Research Base 2011 e riguardano il periodo 2006-2010.
Oltre al contributo nazionale alla produzione scientifica mondiale David King ha fatto un confronto tra le cinque principali discipline scientifiche (medicina, scienze naturali, scienze agrarie, ingegneria e tecnologia, scienze sociali) in diversi paesi. La quota di citazioni rispetto al totale nel mondo in quel periodo, per ogni disciplina, è stata poi utilizzata come metrica specifica per quantificare l’impatto scientifico delle nazioni nelle diverse discipline. Quest’analisi ha mostrato, per esempio, che la Russia e la Germania sono relativamente forti in fisica, la Francia in matematica, mentre il Regno Unito e gli Stati Uniti eccellono in medicina e scienze dell’ambiente.
Le implicazioni politiche di queste analisi sono di due tipi. Da una parte si nota le nazioni che sono leader tecnologici, hanno la più grande produzione di articoli scientifici e raccolgono il maggior numero di citazioni. Questi paesi hanno anche la più alta frazione di spesa in ricerca e sviluppo rispetto al Pil (quasi il 3%). Dall’altra parte, un’analisi comparata dell’impatto dei diversi settori di ricerca può fornire informazioni su quale sia la maniera più efficiente di implementare il proprio sistema di ricerca: specializzarsi in alcuni settori scientifici o piuttosto diversificarsi per quanto possibile? Entrambe le questioni sono molto rilevanti per l’Italia che ha una spesa in ricerca e sviluppo intorno all’1,2%, circa la metà di paesi come la Francia e la Germania, e soprattutto sta avendo in questi anni una allarmante spinta a accentrare le risorse su pochi poli di eccellenza e progetti scientifici, entrambi decisi “dall’alto”. Siamo sicuri che quest’ultima sia una politica che abbia senso?