“Siamo abituati a uccidere criminali, ma perché dovremmo uccidere delle suore?”, la domanda retorica. La risposta: “L’argent est l’argent! I soldi sono soldi”: 25 milioni di franchi burundesi a testa, circa 14mila euro, promessi agli esecutori materiali. Per ora è solo una voce: quella di un testimone anonimo che ha raccontato ai microfoni di RPA, Radio Publique Africaine, la sua verità sull’uccisione di Olga Raschietti, Lucia Pulici e Bernardetta Boggian, le tre suore saveriane uccise in Burundi lo scorso 7 settembre. Le rivelazioni dell’uomo, che si è presentato come membro del commando che trucidò le tre religiose, hanno inaugurato una serie di inchieste condotte dalla RPA, l’emittente privata più ascoltata del paese, spesso critica con il potere. In base alle risultanze dell’indagine giornalistica, le tre religiose sarebbero state uccise perché erano venute a conoscenza di traffici illeciti in cui era implicato anche Adolphe Nshimirimana, all’epoca capo dei servizi segreti.

La ricostruzione dei fatti
All’indomani della barbara esecuzione delle tre anziane religiose, era stato arrestato Christian Butoyi, un uomo del quartiere con problemi mentali, “reo confesso”. Ben pochi avevano creduto alla colpevolezza dell’uomo, visto come un capro espiatorio per mettere a tacere i clamori. Erano stati sollevati dubbi anche sulla ricostruzione dei fatti. Uomini armati erano penetrati nell’abitazione delle religiose, uccidendo nel primo pomeriggio Lucia e Olga. I padri e Bernardetta, la superiora, avevano scoperto subito il duplice omicidio e chiamato la polizia. Le due consorelle rimaste avevano deciso di dormire in casa perché garantite dalla massiccia presenza di agenti fuori dall’edificio. E proprio durante la notte gli assassini – secondo il testimone rimasti all’interno – avevano ucciso indisturbati la terza saveriana, risparmiando l’altra religiosa e andandosene con uniformi della polizia.

Esecutori e mandanti
In base alla testimonianza resa a RPA dal membro del commando, prima del triplice omicidio si erano tenute due riunioni preparatorie, alle quali presero parte un ufficiale di polizia, un membro dei servizi, un civile – Guillaume Harushimana, economo del Centre Jeunes Kamenge (il grande centro giovanile avviato parecchi anni fa dai saveriani) –, altri personaggi minori (il teste fa il nome di tutti), ma soprattutto Adolphe Nshimirimana, temuto capo dei servizi segreti al momento dei fatti e da novembre inviato della Presidenza della Repubblica per missioni speciali, uno degli uomini più potenti del Burundi. Il mandante sarebbe lui.

L’arresto del direttore
Subito dopo la messa in onda dell’inchiesta, sono cominciate le minacce anonime. Il 20 gennaio il direttore di RPA, Bob Rugurika, è convocato dalla polizia. L’interrogatorio si tramuta in arresto, con l’accusa di proteggere un assassino, poiché il giornalista rifiuta di rivelare la fonte. Rugurika finisce in isolamento.

I moventi
Dopo l’arresto del direttore, arriva la seconda trance di rivelazioni, che RPA mette in onda il 26 gennaio, sui moventi, che sarebbero due: le religiose erano a conoscenza di traffici illeciti e dell’esistenza di truppe paramilitari. Tutto sarebbe iniziato quando il parroco della parrocchia Guido Maria Conforti, membro di Kamenge, ha messo mano a una revisione generale delle attività. Lì sarebbe stato messo al corrente di malversazioni da ricondurre proprio a Nshimirimana, proprietario di un ospedale nel quartiere. Per importare i farmaci, l’allora capo dei servizi avrebbe omesso il pagamento delle tasse doganali facendo passare i suoi carichi come destinati al dispensario parrocchiale (costruito e gestito dai saveriani fino ad alcuni anni fa, ora in gestione a una congregazione polacca). Non solo: a bordo di veicoli della parrocchia, Nshimirimana avrebbe illegalmente trasportato minerali dal Congo, come “aiuti umanitari”. Tali abusi, secondo la fonte, sarebbero stati mal tollerati dalle tre religiose, pronte a denunciare i fatti. Non solo: Bernardetta avrebbe saputo che membri del movimento giovanile paramilitare del partito al potere, chiamato Imbonerakure, venivano addestrati in Congo, vicino a Luvungi, dove i saveriani hanno un’altra missione e un ospedale, in cui capitava di ricoverare Imbonerakure feriti. Suor Bernardetta, di passaggio, avrebbe scattato foto e raccolto la testimonianza di alcuni miliziani. Avrebbe inoltre invitato l’ospedale a non accoglierli più, perché preparavano azioni pericolose in Burundi. Le tre religiose erano in Burundi da poco tempo e prima erano state in missione in Congo, due di loro proprio a Luvungi, da dove erano state allontanate per ragioni di sicurezza. Davanti al rischio di essere scoperti, i responsabili avrebbero optato per l’eliminazione delle religiose.

Le elezioni alle porte
Le rivelazioni giungono in un momento molto delicato per la vita politica del paese: a maggio si terranno le elezioni legislative e a giugno le presidenziali, che si preannunciano tese. Il presidente uscente Pierre Nkurunziza ha esaurito i due mandati, ma da mesi si registrano manovre per permettergli di ripresentarsi per un terzo incarico, cosa che la costituzione non consente. E il gen. Nshimirimana sarebbe tra i capofila delle trame per la rielezione di Nkurunziza.

Le reazioni nazionali e internazionali
Da subito, le rivelazioni di RPA hanno creato scalpore. Ma è con l’arresto di Bob Rugurika che l’affaire è montato: si sono mobilitati giornalisti, sindacati, difensori dei diritti umani. In molti hanno la sua foto come immagine del profilo sui social. Anche la chiesa burundese ha alzato la voce in difesa del giornalista e per chiedere verità sull’omicidio delle missionarie italiane. Ma il caso ha passato le frontiere. Prima gli appelli di Human Rights Watch e Amnesty International, poi le notizie sui media francofoni, infine prese di posizione importanti come quelle dell’ambasciatore degli Stati Uniti e dell’ambasciatore dell’Unione Europea in Burundi, nonché di Samantha Power, ambasciatrice Usa presso le Nazioni Unite, che il 29 gennaio ha twittato: “Concerned by last week’s arrest of #Burundi journalist Bob Rugurika @rugbob78. #Burundi must protect – not suppress – freedom of expression”. Posizione italiana in merito, ad oggi non pervenuta.

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