I segnali si moltiplicano. Ecco dato alle stampe il rapporto Brookings, firmato da Steve Pifer (ambasciatore), Strobe Talbott (attuale presidente della Brookings Institution), Ivo Daalder (ambasciatore), Michele Flournoi (ex segretario alla Difesa), John Herbst (ambasciatore), Jan Lodal (ex primo vice segretario alla Difesa), l’Ammiraglio James Stavridis, il generale Charles Wald.
Il titolo dice già quasi tutto: “Conservare l’indipendenza dell’Ucraina, Resistere all’aggressione russa: cosa devono fare gli Stati Uniti e la Nato”.
Ricette: 1) “La casa Bianca e il Congresso devono impegnare cospicui finanziamenti per accrescere le capacità difensive dell’Ucraina, fornendo specificamente un miliardo di dollari in assistenza militare quest’anno, seguito da un altro miliardo in ciascuno dei due anni fiscali seguenti. 2) Il Governo degli Usa deve cambiare la sua politica e cominciare a fornire assistenza letale alle forze armate ucraine. 3) Il Governo degli Usa deve contattare gli altri paesi della Nato affinché anch’essi forniscano assistenza militare all’Ucraina”.
Pare che il presidente Obama sia stato fortemente impressionato dai consigli ricevuti e abbia già dichiarato che li farà propri. I dettagli sono precisi e chiari. L’Ucraina dev’essere messa in condizione di vincere contro “l’aggressione” della Russia. Nessun accenno a nessun negoziato. O la va o la spacca. Con una chiara predilezione per “la spacca”.
Interviene sul tema il noto editorialista della Repubblica, Timothy Gairton Ash, il quale titola in questo modo il suo ultimo commento (versione inglese; chissà come lo titolerà l’organo principale del partito della guerra in Italia): “Putin dev’essere fermato. Talvolta soltanto i fucili possono fermare i fucili”. E la mosca cocchiera Timothy esordisce così: “Vladimir Putin è lo Slobodan Milosevic dell’ex Urss: altrettanto cattivo, ma più grosso”. Ergo: fatelo fuori come avete fatto con Slobodan.
La Nato annuncia che “in risposta alle attività russe in Ucraina” piazzerà unità militari in sei paesi della Nato nelle immediate vicinanze dei confini russi: in Estonia, Lituania, Lettonia, Polonia, Bulgaria e Romania. Si tratterà di “diverse migliaia” di soldati e ufficiali, provenienti da Norvegia, Germania e Olanda (per ora). La Nato annuncia anche l’installazione di sei comandi militari speciali nei sei paesi interessati. E esprime la sua intenzione di aprire un centro di addestramento in Georgia entro il 2015.
Nel frattempo diverse fonti americane ed europee annunciano l’apparizione, in Rete, di tre nuovi siti, annuncianti la nascita di non ben precisati “movimenti di liberazione” dei russi di Estonia, Lettonia, Lituania. Naturalmente il Cremlino viene immediatamente indicato come il creatore di questi movimenti, il cui scopo sarebbe quello di creare il terreno per un intervento russo a difesa delle popolazioni russe del Baltico “in rivolta”. Naturalmente, poiché nessuno ha mai visto, né tanto meno avuto sentore, dell’esistenza di questi “movimenti di liberazione”, viene un immediato sospetto che si tratti di una, anzi di tre, invenzioni messe in piedi dai servizi segreti occidentali. In preparazione di una o più false flag operations che permetteranno ai media occidentali di accusare la Russia di avere fomentato incidenti alle frontiere o all’interno di qualcuno di questi stati. Del resto appare sempre più evidente che Tallinn, Riga e Vilnius debbono poter esibire, di fronte agli alleati della Nato, le prove di qualche “minaccia russa” che le riguardi. Se queste minacce non ci sono state, e non ci sono,, urge che vengano create al più presto. Ieri il Corriere della Sera già esordiva, con il suo corrispondente da Bruxelles, Luigi Offeddu, dando completo credito all’inizio della operazione che, d’ora in poi suggeriamo di titolare: “Apertura del Fronte Nord contro la Russia”.
Giulietto Chiesa
Giornalista
Mondo - 4 Febbraio 2015
Usa, Obama va in guerra (coi soldi suoi e le pelli nostre)
I segnali si moltiplicano. Ecco dato alle stampe il rapporto Brookings, firmato da Steve Pifer (ambasciatore), Strobe Talbott (attuale presidente della Brookings Institution), Ivo Daalder (ambasciatore), Michele Flournoi (ex segretario alla Difesa), John Herbst (ambasciatore), Jan Lodal (ex primo vice segretario alla Difesa), l’Ammiraglio James Stavridis, il generale Charles Wald.
Il titolo dice già quasi tutto: “Conservare l’indipendenza dell’Ucraina, Resistere all’aggressione russa: cosa devono fare gli Stati Uniti e la Nato”.
Ricette: 1) “La casa Bianca e il Congresso devono impegnare cospicui finanziamenti per accrescere le capacità difensive dell’Ucraina, fornendo specificamente un miliardo di dollari in assistenza militare quest’anno, seguito da un altro miliardo in ciascuno dei due anni fiscali seguenti. 2) Il Governo degli Usa deve cambiare la sua politica e cominciare a fornire assistenza letale alle forze armate ucraine. 3) Il Governo degli Usa deve contattare gli altri paesi della Nato affinché anch’essi forniscano assistenza militare all’Ucraina”.
Pare che il presidente Obama sia stato fortemente impressionato dai consigli ricevuti e abbia già dichiarato che li farà propri. I dettagli sono precisi e chiari. L’Ucraina dev’essere messa in condizione di vincere contro “l’aggressione” della Russia. Nessun accenno a nessun negoziato. O la va o la spacca. Con una chiara predilezione per “la spacca”.
Interviene sul tema il noto editorialista della Repubblica, Timothy Gairton Ash, il quale titola in questo modo il suo ultimo commento (versione inglese; chissà come lo titolerà l’organo principale del partito della guerra in Italia): “Putin dev’essere fermato. Talvolta soltanto i fucili possono fermare i fucili”. E la mosca cocchiera Timothy esordisce così: “Vladimir Putin è lo Slobodan Milosevic dell’ex Urss: altrettanto cattivo, ma più grosso”. Ergo: fatelo fuori come avete fatto con Slobodan.
La Nato annuncia che “in risposta alle attività russe in Ucraina” piazzerà unità militari in sei paesi della Nato nelle immediate vicinanze dei confini russi: in Estonia, Lituania, Lettonia, Polonia, Bulgaria e Romania. Si tratterà di “diverse migliaia” di soldati e ufficiali, provenienti da Norvegia, Germania e Olanda (per ora). La Nato annuncia anche l’installazione di sei comandi militari speciali nei sei paesi interessati. E esprime la sua intenzione di aprire un centro di addestramento in Georgia entro il 2015.
Nel frattempo diverse fonti americane ed europee annunciano l’apparizione, in Rete, di tre nuovi siti, annuncianti la nascita di non ben precisati “movimenti di liberazione” dei russi di Estonia, Lettonia, Lituania. Naturalmente il Cremlino viene immediatamente indicato come il creatore di questi movimenti, il cui scopo sarebbe quello di creare il terreno per un intervento russo a difesa delle popolazioni russe del Baltico “in rivolta”. Naturalmente, poiché nessuno ha mai visto, né tanto meno avuto sentore, dell’esistenza di questi “movimenti di liberazione”, viene un immediato sospetto che si tratti di una, anzi di tre, invenzioni messe in piedi dai servizi segreti occidentali. In preparazione di una o più false flag operations che permetteranno ai media occidentali di accusare la Russia di avere fomentato incidenti alle frontiere o all’interno di qualcuno di questi stati. Del resto appare sempre più evidente che Tallinn, Riga e Vilnius debbono poter esibire, di fronte agli alleati della Nato, le prove di qualche “minaccia russa” che le riguardi. Se queste minacce non ci sono state, e non ci sono,, urge che vengano create al più presto. Ieri il Corriere della Sera già esordiva, con il suo corrispondente da Bruxelles, Luigi Offeddu, dando completo credito all’inizio della operazione che, d’ora in poi suggeriamo di titolare: “Apertura del Fronte Nord contro la Russia”.
Articolo Precedente
Usa, scontro tra treno pendolari e auto alle porte di New York: sette morti
Articolo Successivo
Media e fatti di cronaca: la via inglese alla non spettacolarizzazione di una tragedia
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Mondo
Trump taglia gli aiuti a Kiev, Zelensky ora è pronto a firmare “una tregua immediata”. Mosca: “Positivo”. “Rearm Europe”: i punti del maxi-piano dell’Europa
Mondo
La Germania corre verso il riarmo: il piano da 900 miliardi di Merz per infrastrutture e forze armate
Zonaeuro
Poroshenko all’Eurocamera: l’ex presidente ucraino invitato dal Ppe. È un nome per il post-Zelensky?
Il Cairo, 4 mar. (Adnkronos) - I leader arabi concordano di istituire un fondo fiduciario per finanziare la ricostruzione della Striscia di Gaza, devastata dalla guerra, sollecitando il contributo internazionale per accelerare il processo di ricostruzione. Secondo il comunicato finale del vertice della Lega araba al Cairo, visionato dall'Afp, il fondo "riceverà impegni finanziari da tutti i paesi donatori e dalle istituzioni finanziarie" per realizzare progetti di ricostruzione nel territorio.
Tel Aviv, 4 mar. (Adnkronos) - Il Ministero degli Esteri israeliano afferma che la dichiarazione del vertice arabo tenutosi al Cairo per discutere della ricostruzione di Gaza non ha affrontato la realtà della situazione successiva al massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023. "È degno di nota che il feroce attacco terroristico di Hamas non venga menzionato e che non vi sia nemmeno una condanna di questa entità terroristica omicida, nonostante le atrocità documentate", afferma la dichiarazione.
il ministero elogia invece il piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di trasferire i cittadini di Gaza, sostenendo — nonostante Trump parli di trasferire tutta la popolazione della Striscia — che in base a questo, "c'è un'opportunità per i cittadini di Gaza di scegliere liberamente. Questo deve essere incoraggiato".
Sana'a, 4 mar. (Adnkronos) - Gli Houthi hanno abbattuto un drone statunitense nei cieli della città portuale di Hodeidah nello Yemen. Lo ha dichiarato portavoce del gruppo, Yahya Saree, in un post su Telegram.
Washington, 4 mar. (Adnkronos) - Secondo due fonti informate sui colloqui, gli Stati Uniti e l'Ucraina potrebbero firmare l'accordo sui minerali già oggi. Lo rende noto Abc News, secondo cui Trump ha indicato ai suoi principali consiglieri che vorrebbe concludere l'accordo prima del suo discorso congiunto al Congresso.
Il Cairo, 4 mar. (Adnkronos) - Il vertice arabo convocato al Cairo ha adottato un piano egiziano per la ricostruzione di Gaza. Lo ha affermato il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi in una dichiarazione conclusiva. Il piano mira a contrastare le proposte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per una "Riviera mediorientale" con un piano per ricostruire la Striscia devastata senza sfollare la sua popolazione.
Parigi, 4 mar. (Adnkronos/Afp) - Il presidente francese Emmanuel Macron ha accolto con favore la volontà del suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky “di riprendere il dialogo con gli Stati Uniti d'America”, secondo quanto riferito dall'Eliseo.
Il capo di Stato “ha ribadito la determinazione della Francia a lavorare con tutte le parti interessate per attuare una pace solida e duratura in Ucraina”, ha dichiarato la presidenza.
Roma, 4 mar. (Adnkronos) - Elly Schlein è netta sul piano lanciato oggi da Ursula Von der Leyen. "Noi non ci stiamo", la posizione della segretaria del Pd. Una linea che, pur con sfumature diverse, trova d'accordo anche l'area riformista dem. Servono "modifiche", dice Lorenzo Guerini. In particolare, a mettere tutti d'accordo è la bocciatura della proposta della presidente della Commissione Ue sulla possibilità di dirottare i fondi di Coesione sulle spese per la difesa. E non solo. Anche la deroga al patto di Stabilità da parte dei singoli Stati, fuori da regia e investimenti comuni sulla difesa, è giudicata un errore trasversalmente tra i dem.
Schlein ha già annunciato che porterà la posizione del Pd alla riunione dei Socialisti e Democratici giovedì mattina a Bruxelles, il pre-vertice che precede il Consiglio europeo straordinario. In vista dell'appuntamento Schlein oggi ha sentito il premier spagnolo Pedro Sanchez. "Una lunga conversazione sullo scenario internazionale e la complicata situazione mondiale", fanno sapere fonti dem. Quella del Pd è la delegazione più numerosa nella famiglia socialista europea. Senza l'ok dei socialisti il piano Von der Leyen traballa. "È il momento delle scelte e della chiarezza. Abbiamo bisogno di una risposta all'altezza della sfida globale - strategica, economica, politica - al ruolo dell'Europa nel mondo. E questa risposta non è quella presentata oggi", rimarca Schlein.
Negli equilibri interni al Pd, la sollecitazione dei riformisti è quella di lavorare per modificare il piano Von der Leyen, "aiutare ad andare nella direzione giusta" ed evitare che ci si arrocchi in un "no a tutti i costi". L'importante, si spiega, "è non mettere in discussione la necessità dell'aumento di risorse per la difesa europea". Per Guerini si tratta di un'esigenza "ineludibile". Quindi la sollecitazione del presidente del Copasir: "Ora bisogna mettersi al lavoro, innanzitutto all’interno del Pse, per confermare in maniera convinta il nostro impegno per maggiori investimenti e capacità militari europee provando a dare un indirizzo più coerente agli strumenti per farlo".
Per Schlein "quella presentata oggi da Von Der Leyen non è la strada che serve all’Europa. All’Unione europea serve la difesa comune, non il riarmo nazionale. Sono due cose molto diverse". Anche il titolo 'Rearm' ha fatto sobbalzare più di uno e anche la segretaria lo mette in evidenza. "Il piano Von Der Leyen, a partire dal titolo, punta sul riarmo e non emerge un indirizzo politico chiaro verso la difesa comune".
Quindi elenca i nodi: "Indica una serie di strumenti che agevolerebbero la spesa nazionale ma senza porre condizioni sui progetti comuni, sull’interoperabilità dei sistemi. Ci sono molti aspetti da chiarire, ad esempio su come funzionerebbe il nuovo meccanismo in stile Sure, per capire se finanzia progetti comuni o spesa nazionale. Ma questa -avverte- non è la strada giusta. Manca ancora la volontà politica dei governi di fare davvero una difesa comune e in questo piano della Commissione mancano gli investimenti europei finanziati dal debito comune, come durante la pandemia. Così rischia di diventare il mero riarmo nazionale di 27 paesi e noi non ci stiamo".
"Noi -insiste- abbiamo un’idea precisa. Quello che serve oggi è un grande piano di investimenti comuni per l’autonomia strategica dell’Ue, che è insieme cooperazione industriale, coesione sociale, transizione ambientale e digitale, sicurezza energetica e anche difesa comune. Anche, ma non solo! Magari cancellando le altre cruciali priorità su cui i governi sono più divisi. È irrinunciabile contrastare le diseguaglianze che sono aumentate. Per questo è inaccettabile utilizzare i fondi di coesione per finanziare le spese militari nazionali".
Punti critici che vengono rilevati anche dai riformisti. Per Guerini "la proposta Von der Leyen definisce giustamente l’obiettivo in termini di risorse", ma "così come è stata prospettata necessita di essere modificata: è sbagliato l’utilizzo dei fondi di coesione e c’è poco coraggio a sostenere un vero salto in senso europeo delle spese per la difesa". Avverte Alessandro Alfieri: gli strumenti "che mettiamo in campo devono portare ad una maggiore integrazione delle principali aziende della difesa europea. In questo senso, se non vengono messe condizionalità alle deroghe al patto di stabilità, l’aumento dei bilanci dei singoli Paesi verrà speso prevalentemente su mercati extra Ue, da cui oggi dipendiamo per l’80%. Aumentando la dipendenza strategica dagli Usa anziché diminuirla".
Per il coordinatore della minoranza dem, il Pd non dovrà far "mancare il proprio contributo in tutte le sedi così come spiegheremo che serve una narrazione diversa che convinca le opinioni pubbliche europee a sostenere la sfida ineludibile della costruzione della difesa europea. Magari chiamando questa sfida Protect Europe invece di Rearm. Perché anche il linguaggio ha la sua importanza...”.
Interviene anche Giorgio Gori a sollevare criticità: sarebbe "un errore - ritengo, da parte della Commissione Europea - autorizzare maggiori spese per la difesa dei singoli Stati membri, in deroga al patto di stabilità, fuori da una comune regia. Ciò finirebbe per approfondire la frammentazione, senza apprezzabili benefici per la sicurezza comune. La deroga dal patto dovrebbe invece essere autorizzata solo per gli investimenti comuni: così si porrebbero le condizioni per l'avvio di un vero sistema di difesa europeo". E poi "ugualmente discutibile appare poi la contrapposizione tra spesa per la difesa e spesa sociale, suggerita dalla facoltà per gli Stati membri di attingere ai fondi per la coesione". Intanto questa mattina la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno ha lanciato un appello via social per un'Europa 'Libera e forte' in 5 punti, difesa comune compresa. Oltre duemila, finora, le adesioni.